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Le recensioni di SLQS: ’10 Songs’ dei Travis

L’articolo di oggi è dedicato a una band molto sottovalutata in Italia, ma amatissima nel Regno Unito. Stiamo parlando dei Travis, band britpop nata a Glasgow agli inzi degli anni novanta, il cui successo esplode letteralmente grazie a Sing, un brano del 2001 diventato un vero e proprio tormentone. Molti di voi ricorderanno la canzone per l’irriverente video musicale in rotazione su Mtv, in cui le chiacchiere di una formale ed elegante cena si trasformano in rabbiosi lanci di cibo. La band acquisisce visibilità nel Regno Unito, in piena Oasis-mania, con l’album Good Feeling del 1997. Proprio per gli Oasis aprono una serie di concerti e Noel Gallagher si dichiara da subito loro fan. Da allora ad oggi molto è successo: collaborazioni con artisti del calibro di Paul McCartney, tour mondiali da record (quello che seguì l’uscita di The Man Who contava ben 237 date in giro per il mondo!) e naturalmente tanta splendida musica. Il 9 ottobre sono ritornati con l’attesissimo 10 Songs ed io non potevo fare altro che correre ad ascoltarlo.

10 Songs è esattamente come me lo aspettavo. Metterò da parte i tecnicismi, perché credo che il sound di questo disco si possa descrivere perfettamente con un’immagine, quella di un viaggio malinconico verso casa, al caldo nella coupé di un treno mentre fuori fa freddo. Per la prima volta dal 2003 il frontman della band, Fran Healy, assume pieno controllo sui testi e il risultato non delude affatto.

Il disco si apre con Waving at the Window, il cui unico difetto è quello di essere stata messa proprio come prima traccia. E’ senza dubbio il pezzo più forte dell’album, di quelli che per riprenderti dall’ascolto ci metti un po’ (e forse per questo l’avrei vista meglio come ultima traccia). Splendido il pianoforte, splendido il testo che, se hai detto addio a qualcuno almeno una volta nella vita, ti ridurrà lo stomaco a brandelli (All the days without you, I’m gonna wake/ All the plans without me, you’re gonna make/ Give it another chance, give it another go/ Don’t wanna see you waving at the window).

La tracklist prosegue con un duetto, quello con Susanna Hoffs, voce di The Bangles. Il titolo è The Only Thing e la voce calda di Susanna contribuisce sicuramente a dare carattere a questa canzone d’amore che sembra figlia di altri tempi. La traccia numero tre, una delle poche passata dalle radio italiane, si chiama Valentine ed è, con il crescendo che la caratterizza e le sue chitarre insolenti, in netto contrasto con la traccia precedente. Ma è soltanto una parentesi, perché con Butterflies torniamo a sederci nella carrozza del nostro treno per riflettere sulle occasioni che non abbiamo avuto il coraggio di sfruttare, mentre gli anni sono scivolati via (‘Cause you’re still chasing butterflies/ Watching all the years roll by).

A Million Hearts è un altro highlight del disco: ancora una volta è la melodia del pianoforte a farla da padrone e, ancora una volta, si parla di un addio (‘You’re one in a million hearts/ Letting go of you is tearing me apart). A questo punto arriva A Ghost, che a mio avviso non è solo uno dei migliori brani di questo disco ma anche dell’intera discografia dei Travis: se li avete amati agli inizi del secolo in The Man Who e in The Invisible Band, con questo brano tornerete a innamorarvi di loro. Menzione speciale per le linee di basso (alle quali, lo ammetto, sono particolarmente sensibile). Il fantasma del titolo è quello che si riflette nel nostro specchio e che ci costringe a fare i conti con il nostro passato, con quello che abbiamo nascosto, omesso e taciuto (All my past is shoring up/ Beating on my door won’t stop/ Couldn’t lie so I made it up/ And I can’t even say why). A consolarci arrivano le chitarre della dolcissima All Fall Down, che ci ricorda quanto sia ostinato l’amore vero.

La traccia numero otto, Kissing in the wind, è il classico brano che ci si aspetta dai Travis e che riassume un po’ tutti i motivi per cui ci piacciono. Penultima canzone dell’album , Nina’s Song, è una ballad che sembra non appartenere a nessun epoca, di quelle piene ma costruita su un vuoto immenso, quello causato dalla mancanza di un padre. Fran Healy confessa di avere avuto questa canzone dentro di sé per molto tempo, essendo cresciuto soltanto con sua madre. I temi della mancanza, dell’addio, della perdita e del vuoto sembrano attraversare a occhio e croce tutto 10 Songs. Eppure, l’ultimo brano, No Love Lost, pur riprendendo il mood dell’intero disco (complice il pianoforte) sembra lasciarci negli ultimi versi un messaggio di speranza, mettendo da parte tristezze, rabbie e rancori e ricordandoci che sono le circostanze e il tempo, immense rispetto a noi gocce di pioggia, a determinare la nostra traiettoria.

Three drops on a window pane
Just rolling down together
No fear, no regret, no shame
Just under the weather.

E tu hai ascoltato questo disco? Qual è il tuo brano preferito? Lascia un commento e seguici sui nostri social. Ci trovi su FacebookInstagram e Twitter.

‘And after all…you’re my Wonderwall’. Identikit di un inno generazionale.

È il maggio del 1995 quando gli Oasis si rinchiudono per due settimane nei Rockfield Studios, in Galles, per registrare il loro secondo album, lo straordinario (What’s the Story?) Morning Glory che, uscito il 2 ottobre 1995, li consacrerà come la band inglese di maggior successo degli anni novanta e leader indiscussi del movimento del brit-pop. Il successo è dovuto soprattutto al terzo singolo estratto dal disco, Wonderwall, che proprio oggi compie venticinque anni. Vogliamo perciò ripercorrere la storia di questo brano intramontabile, inno di un’intera generazione, scritto da Noel Gallagher e reso unico dalla vocalità di suo fratello Liam.

Il titolo e il significato del brano conservano ancora oggi un certo mistero ed è forse anche questo a renderlo così amato. Wonderwall significa letteralmente muro delle meraviglie, è una parola volutamente nonsense. In un primo momento Noel dà alla canzone il titolo Wishing Stone, anche questo nonsense, ma ci ripensa perché non soddisfatto di come si inserisce nel ritornello. Sceglie quindi Wonderwall e in questa scelta vi è racchiuso un omaggio a George Harrison che aveva intitolato una sua produzione da solista proprio Wonderwall Songs, raccolta che fece da colonna sonora a un film intitolato proprio Wonderwall, il cui protagonista spiava la donna da lui desiderata attraverso dei buchi sul muro, appunto il muro delle meraviglie. I fratelli Gallagher non hanno mai nascosto la loro profonda ammirazione per i Beatles, parte integrante di tutta la loro produzione che pullula di omaggi e riferimenti ai Fab4. La stessa Wonderwall contiene anche un riferimento a una winding road, una strada dove tira il vento, esplicito riferimento al celebre brano dei Beatles.

A proposito del titolo della canzone, l’interprete Liam Gallagher ha osservato che, a prescindere da quale sia il significato letterale, Wonderwall è semplicemente una bella parola che può diventare qualsiasi cosa vogliamo. Insomma, dovremmo smetterla di ricercare a tutti i costi un significato. Persino i Travis, che si condividono con gli Oasis il genere, lo stile e l’amore per i Beatles, all’interno del loro brano Writing to Reach you ironizzano sulla faccenda, chiedendosi ‘What’s a Wonderwall anyway?’ (‘E comunque che cos’è un muro delle meraviglie?).

Ma se il titolo è nonsense, qual è il significato della canzone? Subito dopo l’uscita del singolo Noel Gallagher dichiarò che la canzone fosse stata scritta per la sua fidanzata dell’epoca, Meg Matthews, poi diventata sua moglie. In un’intervista del 2002, successiva al divorzio tra i due, Noel ritrattò dicendo che era stata la stampa a spingerlo a fare quella dichiarazione. Aggiunse che non era mai tornato sull’argomento perché sarebbe stato poco carino ammettere con sua moglie che in realtà la canzone non era per lei. Il vero significato di Wonderwall, spiega Noel, è una dedica a un amico immaginario che viene in tuo soccorso quando ne hai bisogno.

Wonderwall fa parte delle canzoni made in UK più conosciute al mondo e anche il video musicale, in bianco e nero con le Ray-Ban di Liam in primo piano, è diventato iconico. La canzone fu suonata live per la prima volta già nell’estate precedente all’uscita di (What’s the Story?) Morning Glory, nel backstage del festival di Glastonbury. È principalmente grazie a questo brano che il disco schizzò al primo posto delle classifiche inglesi, facendo la storia e sfiorando un record: fino al 1996 solo Bad di Michael Jackson era riuscito a vendere di più in così poco tempo. Altrettanto fu il successo riscosso negli Stati Uniti, dove il disco fu certificato platino ben cinque volte e Wonderwall si piazzò seconda nella classifica di Billboard, collezionando anche diverse nomination ai Grammy. Rimane, ancora oggi, una delle canzoni più re-interpretate di sempre: l’ha rifatta persino Jay-Z, ma la versione più riuscita, anche secondo gli stessi fratelli Gallagher che la considerano migliore dell’originale, è quella di Ryan Adams.

È ironico che la consacrazione sia arrivata proprio con una ballad per una band che cercò di costruire la propria immagine a suon di parolacce, rock’n’roll sporco e melodie ruvide. È forse anche per questo che Liam Gallagher, in diverse occasioni, ha dichiarato di essere arrivato a detestarla. Noi, invece, non smetteremo mai di amarla: nel suono di quegli accordi semplici, negli archi e nelle vocali allungate di Liam c’è tutto lo spirito degli anni novanta e la bellezza di quegli anni di fine secolo, quando per connettersi bastava una chitarra e un po’ di birra e non c’erano schermi da fissare, ma solo muri delle meraviglie da immaginare.

Coming very soon: le uscite di ottobre con Bruce Springsteen, Travis e tante riedizioni speciali

Come di consueto ci congediamo dal mese che sta per terminare e diamo il benvenuto a quello nuovo con Coming Very Soon, la nostra rubrica con il meglio delle nuove uscite musicali. Ottobre sarà un mese ricchissimo di nuovi album, grandi ritorni e riedizioni speciali. Pronti a scoprire cosa ci aspetta?

Il nuovo album dei Bon Jovi, Bon Jovi 2020 (del quale vi avevamo già parlato in un Coming Very Soon precedente perché previsto per lo scorso maggio), uscirà il 2 ottobre. Questo margine di tempo ha dato la possibilità al frontman Jon Bon Jovi di comporre altre due canzoni che sono state incluse nel disco e che rispecchiano pienamente il clima dei mesi scorsi. Il brano Do What You Can parla della lotta al Covid-19 ed è il singolo che accompagna l’uscita dell’album, mentre American Reckoning è una canzone di protesta per la morte di George Floyd e a supporto del movimento Black Lives Matter. Escono lo stesso giorno anche Melanie C, album omonimo dell’ex Spice Girl, e la compilation The Rarities di Mariah Carey, una raccolta di brani mai pubblicati e rarità che sicuramente sarà molto apprezzata dai fan.

Per la gioia di tutti gli amanti dell’indie rock made in UK, il 9 ottobre ritornano i Travis con il nuovo album 10 Songs. Si tratta del nono album in studio per la band scozzese, anticipato dai singoli A Ghost e Valentine. Restiamo nel Regno Unito e restiamo nell’ambito dell’indie rock, solo un pò più glam, perché il 16 è il turno dei The Struts e del loro terzo album Strange Days, anticipato dal singolo omonimo, un’insolita e sorprendente collaborazione con niente poco di meno che mr. Robbie Williams! Esce invece il 23 ottobre Song Machine, Season One: Strange Times, settimo album nonché interessantissimo progetto della band virtuale Gorillaz. Il disco raccoglie una serie di singoli e video musicali realizzati in collaborazione con artisti appartenenti ai generi più disparati, dal punk rock al synth-pop, passando per l’elettronica e la bossa nova.

Ora passiamo a lui, il disco più atteso non solo del mese ottobre, ma di tutto il 2020. Stiamo parlando del nuovo album di Bruce Springsteen che ritorna con Letter to you, 12 tracce incise insieme alla E Street Band. Letter to you esce a poco più di un anno da Western Stars ed è il ventesimo album del boss. Anticipato dal singolo omonimo, l’album contiene nove tracce scritte da Bruce nell’ultimo anno e tre brani, Janey Needs a Shooter, If I Was the Priest e Song for Orphans, composti negli anni settanta e mai incisi prima.

Infine compiono gli anni proprio questo ottobre una serie di album che hanno segnato la storia del rock di un periodo a cui tanto siamo affezionate, quello a cavallo tra il ventesimo e il ventunesimo secolo. Preparatevi a delle speciali riedizioni di Hybrid Theory dei Linkin Park che compie vent’anni, (What’s the Story) Morning Glory degli Oasis che ha ormai un quarto di secolo, All the Right Reasons dei Nickelback che ne compie ‘solo’ quindici e, dulcis in fundo, All That You Can’t Leave Behind degli U2 che spegne venti candeline. Feeling old yet?

Queste erano le uscite di ottobre che, siamo sicure, renderanno l’arrivo dell’autunno un po’ meno traumatico. Ci sono altri dischi che vi piacerebbe segnalarci? Scriveteci!

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