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Rising Sounds: 1997 di BKM, e gridare per strada che siamo ancora fottutamente vivi

L’8 luglio, a mezzanotte in punto, è stato pubblicato 1997, il primo album di BKM, artista calabrese e itinerante. Oggi ne parliamo su Rising Sounds, la nostra rubrica dedicata alla musica emergente.

Qualcuno ci ha insegnato che a un certo punto tutti, nessuno escluso, capitoleremo. Che la “vita vera” avrà la meglio e che prima o dopo smetteremo di credere in noi e quello che possiamo diventare, e non penseremo più che possiamo fare la differenza, che possiamo essere la differenza.

Ma a dirla tutta credo sia proprio arrivato il momento di smettere con l’accettazione acritica di questo dogma. Noi possiamo ancora essere quello che vogliamo, possiamo risorgere dal male che ci tiene schiacciati a terra, dalle cose più forti di noi. Non possiamo controllarle, no? E allora che senso ha lasciare che dominino ogni aspetto della nostra vita? Perché non liberarci anche da quello che ci hanno imposto?

Cambiare rotta, cambiare punto di vista, cambiare approccio. È questo che emerge dal primo album di BKM, 1997. Non dimenticare chi siamo mentre il mondo ci schiaccia.

Io ho conosciuto BKM nell’autunno del 2019, quando abbiamo lavorato insieme per Italian Radio a Utrecht. Lo chiamerò col suo nome da profano, Bruno, e vi dirò che nei mesi trascorsi nella sala congressi del magazine che occuperà sempre una parte importantissima del mio cuore, non sono mai mancate idee, risate. E soprattutto, passione per la musica, per le novità, per le sperimentazioni artistiche. L’uscita di questo album meno di tre anni dopo, che è così ricco, così pieno, con l’emozione che dirompe come un fiume che rompe gli argini, mi tocca profondamente. Perché è un sogno che prende corpo. Perché dedicarsi a un progetto emergente non è mai facile – e io lo so – e quello che colpisce è la dedizione, la caparbietà, la forza di essere arrivati a questo punto. Non un traguardo, ma un trampolino di lancio.

1997 è un manifesto generazionale ma parlarne in questi termini sarebbe riduttivo. Il suo messaggio, che colpisce a ogni latitudine, soprattutto colpisce noi che siamo nati negli anni ’90, che siamo figli del Sud e che amiamo e odiamo le nostre origini, che ci sentiamo soffocare nelle nostre piccole realtà e che abbiamo bisogno di evadere, che vogliamo solo sentirci dire che va tutto bene, che abbiamo il diritto negato del comfort, della sicurezza, e per questo vorremmo solo gridare e siamo arrabbiati, siamo arrabbiati e proviamo rancore. E il dopo, il futuro, ci spaventa a morte, e ci toglie il terreno sotto i piedi.  

In 7 brani e poco più di 20 minuti c’è il riassunto veritiero di cosa voglia dire essere uno di noi. E deve essere gridato per strada. Perché quel grigiore che ci hanno imposto quando ci hanno insegnato che prima o poi avremmo capitolato, che avremmo accettato “il resto della nostra vita” incombente sulla nostra giovinezza, venga annientato. Non sarà così. Non deve essere così. E 1997 dice proprio questo. Che “non saremo mai come vogliono”, e il beat ci dà forza, e non ci spegneremo mai. Abbiamo bisogno solo di mezzi per ricordare chi siamo e direi proprio che questo album, a questo riguardo, fa il suo dovere.

Bravo BKM, bravo Bruno, bravi tutti quelli che hanno collaborato a questo piccolo pezzo per riappropriarci della nostra vita, della nostra identità, e del controllo su chi siamo.

Sempre così.

Copertina di 1997

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