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‘And after all…you’re my Wonderwall’. Identikit di un inno generazionale.

È il maggio del 1995 quando gli Oasis si rinchiudono per due settimane nei Rockfield Studios, in Galles, per registrare il loro secondo album, lo straordinario (What’s the Story?) Morning Glory che, uscito il 2 ottobre 1995, li consacrerà come la band inglese di maggior successo degli anni novanta e leader indiscussi del movimento del brit-pop. Il successo è dovuto soprattutto al terzo singolo estratto dal disco, Wonderwall, che proprio oggi compie venticinque anni. Vogliamo perciò ripercorrere la storia di questo brano intramontabile, inno di un’intera generazione, scritto da Noel Gallagher e reso unico dalla vocalità di suo fratello Liam.

Il titolo e il significato del brano conservano ancora oggi un certo mistero ed è forse anche questo a renderlo così amato. Wonderwall significa letteralmente muro delle meraviglie, è una parola volutamente nonsense. In un primo momento Noel dà alla canzone il titolo Wishing Stone, anche questo nonsense, ma ci ripensa perché non soddisfatto di come si inserisce nel ritornello. Sceglie quindi Wonderwall e in questa scelta vi è racchiuso un omaggio a George Harrison che aveva intitolato una sua produzione da solista proprio Wonderwall Songs, raccolta che fece da colonna sonora a un film intitolato proprio Wonderwall, il cui protagonista spiava la donna da lui desiderata attraverso dei buchi sul muro, appunto il muro delle meraviglie. I fratelli Gallagher non hanno mai nascosto la loro profonda ammirazione per i Beatles, parte integrante di tutta la loro produzione che pullula di omaggi e riferimenti ai Fab4. La stessa Wonderwall contiene anche un riferimento a una winding road, una strada dove tira il vento, esplicito riferimento al celebre brano dei Beatles.

A proposito del titolo della canzone, l’interprete Liam Gallagher ha osservato che, a prescindere da quale sia il significato letterale, Wonderwall è semplicemente una bella parola che può diventare qualsiasi cosa vogliamo. Insomma, dovremmo smetterla di ricercare a tutti i costi un significato. Persino i Travis, che si condividono con gli Oasis il genere, lo stile e l’amore per i Beatles, all’interno del loro brano Writing to Reach you ironizzano sulla faccenda, chiedendosi ‘What’s a Wonderwall anyway?’ (‘E comunque che cos’è un muro delle meraviglie?).

Ma se il titolo è nonsense, qual è il significato della canzone? Subito dopo l’uscita del singolo Noel Gallagher dichiarò che la canzone fosse stata scritta per la sua fidanzata dell’epoca, Meg Matthews, poi diventata sua moglie. In un’intervista del 2002, successiva al divorzio tra i due, Noel ritrattò dicendo che era stata la stampa a spingerlo a fare quella dichiarazione. Aggiunse che non era mai tornato sull’argomento perché sarebbe stato poco carino ammettere con sua moglie che in realtà la canzone non era per lei. Il vero significato di Wonderwall, spiega Noel, è una dedica a un amico immaginario che viene in tuo soccorso quando ne hai bisogno.

Wonderwall fa parte delle canzoni made in UK più conosciute al mondo e anche il video musicale, in bianco e nero con le Ray-Ban di Liam in primo piano, è diventato iconico. La canzone fu suonata live per la prima volta già nell’estate precedente all’uscita di (What’s the Story?) Morning Glory, nel backstage del festival di Glastonbury. È principalmente grazie a questo brano che il disco schizzò al primo posto delle classifiche inglesi, facendo la storia e sfiorando un record: fino al 1996 solo Bad di Michael Jackson era riuscito a vendere di più in così poco tempo. Altrettanto fu il successo riscosso negli Stati Uniti, dove il disco fu certificato platino ben cinque volte e Wonderwall si piazzò seconda nella classifica di Billboard, collezionando anche diverse nomination ai Grammy. Rimane, ancora oggi, una delle canzoni più re-interpretate di sempre: l’ha rifatta persino Jay-Z, ma la versione più riuscita, anche secondo gli stessi fratelli Gallagher che la considerano migliore dell’originale, è quella di Ryan Adams.

È ironico che la consacrazione sia arrivata proprio con una ballad per una band che cercò di costruire la propria immagine a suon di parolacce, rock’n’roll sporco e melodie ruvide. È forse anche per questo che Liam Gallagher, in diverse occasioni, ha dichiarato di essere arrivato a detestarla. Noi, invece, non smetteremo mai di amarla: nel suono di quegli accordi semplici, negli archi e nelle vocali allungate di Liam c’è tutto lo spirito degli anni novanta e la bellezza di quegli anni di fine secolo, quando per connettersi bastava una chitarra e un po’ di birra e non c’erano schermi da fissare, ma solo muri delle meraviglie da immaginare.

Coming very soon: le uscite di ottobre con Bruce Springsteen, Travis e tante riedizioni speciali

Come di consueto ci congediamo dal mese che sta per terminare e diamo il benvenuto a quello nuovo con Coming Very Soon, la nostra rubrica con il meglio delle nuove uscite musicali. Ottobre sarà un mese ricchissimo di nuovi album, grandi ritorni e riedizioni speciali. Pronti a scoprire cosa ci aspetta?

Il nuovo album dei Bon Jovi, Bon Jovi 2020 (del quale vi avevamo già parlato in un Coming Very Soon precedente perché previsto per lo scorso maggio), uscirà il 2 ottobre. Questo margine di tempo ha dato la possibilità al frontman Jon Bon Jovi di comporre altre due canzoni che sono state incluse nel disco e che rispecchiano pienamente il clima dei mesi scorsi. Il brano Do What You Can parla della lotta al Covid-19 ed è il singolo che accompagna l’uscita dell’album, mentre American Reckoning è una canzone di protesta per la morte di George Floyd e a supporto del movimento Black Lives Matter. Escono lo stesso giorno anche Melanie C, album omonimo dell’ex Spice Girl, e la compilation The Rarities di Mariah Carey, una raccolta di brani mai pubblicati e rarità che sicuramente sarà molto apprezzata dai fan.

Per la gioia di tutti gli amanti dell’indie rock made in UK, il 9 ottobre ritornano i Travis con il nuovo album 10 Songs. Si tratta del nono album in studio per la band scozzese, anticipato dai singoli A Ghost e Valentine. Restiamo nel Regno Unito e restiamo nell’ambito dell’indie rock, solo un pò più glam, perché il 16 è il turno dei The Struts e del loro terzo album Strange Days, anticipato dal singolo omonimo, un’insolita e sorprendente collaborazione con niente poco di meno che mr. Robbie Williams! Esce invece il 23 ottobre Song Machine, Season One: Strange Times, settimo album nonché interessantissimo progetto della band virtuale Gorillaz. Il disco raccoglie una serie di singoli e video musicali realizzati in collaborazione con artisti appartenenti ai generi più disparati, dal punk rock al synth-pop, passando per l’elettronica e la bossa nova.

Ora passiamo a lui, il disco più atteso non solo del mese ottobre, ma di tutto il 2020. Stiamo parlando del nuovo album di Bruce Springsteen che ritorna con Letter to you, 12 tracce incise insieme alla E Street Band. Letter to you esce a poco più di un anno da Western Stars ed è il ventesimo album del boss. Anticipato dal singolo omonimo, l’album contiene nove tracce scritte da Bruce nell’ultimo anno e tre brani, Janey Needs a Shooter, If I Was the Priest e Song for Orphans, composti negli anni settanta e mai incisi prima.

Infine compiono gli anni proprio questo ottobre una serie di album che hanno segnato la storia del rock di un periodo a cui tanto siamo affezionate, quello a cavallo tra il ventesimo e il ventunesimo secolo. Preparatevi a delle speciali riedizioni di Hybrid Theory dei Linkin Park che compie vent’anni, (What’s the Story) Morning Glory degli Oasis che ha ormai un quarto di secolo, All the Right Reasons dei Nickelback che ne compie ‘solo’ quindici e, dulcis in fundo, All That You Can’t Leave Behind degli U2 che spegne venti candeline. Feeling old yet?

Queste erano le uscite di ottobre che, siamo sicure, renderanno l’arrivo dell’autunno un po’ meno traumatico. Ci sono altri dischi che vi piacerebbe segnalarci? Scriveteci!

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Che fine hanno fatto #5 – Intervista a Daniele Groff

Siamo nel 1998. Un venticinquenne trentino con l’aria da bravo ragazzo e la chitarra in spalla si presenta a Sanremo Famosi, kermesse condotta da Max Pezzali con protagonisti quelli che sarebbero stati i partecipanti, nella sezione Nuove Proposte, del Festival di Sanremo 1999. Quel ragazzo si chiama Daniele Groff e quell’edizione di Sanremo Famosi la vince con un brano intitolato Daisy. Il brano unisce rock e melodia, chitarra ruvida e archi, riprendendo in maniera piuttosto evidente il genere del brit-pop, esploso proprio in quegli anni prima in Inghilterra e poi nel resto del mondo. Ho avuto il piacere di fare una chiacchierata con Daniele e di ripercorrere con lui la sua carriera fatta di palchi importanti e collaborazioni straordinarie, ma anche di uscite di scena, pause e progetti ancora in corso.

Cominciamo con una domanda facile: dove sei?
Dopo tanti anni a Roma sono ritornato nel mio luogo di origine, in Trentino, dove ho trascorso la mia giovinezza e dove ho studiato. Sebbene l’offerta in termini di attività culturali sia molto meno variegata rispetto a quella della capitale, sono comunque soddisfatto della qualità della vita quassù.

Fin dall’esordio sei stato accostato al brit-pop, in particolare alla musica degli Oasis, e ascoltando la tua musica viene quasi spontaneo pensare che il tuo sia stato un vero e proprio tentativo (forse l’unico) di importare in Italia queste sonorità. Credi di essere stato inconsapevolmente influenzato dai dischi che hai ascoltato in quel periodo oppure hai consapevolmente scelto di rifarti a questo genere?
Ho cercato di importare in Italia un sound che secondo me non era ancora stato proposto ed è stato un processo molto consapevole, ma anche molto sofferto. Mi è infatti costato un bel po’ di fatica spiegare ai miei collaboratori, ai tecnici del suono e ai discografici come volevo che fossero le mie canzoni. Il genere aveva cominciato ad interessarmi già a 19 anni, complice un viaggio in Inghilterra. Cominciai ad ascoltare i Beatles e poi gli Oasis, i Blur e i Radiohead, gruppi che in Italia venivano considerati un po’ di nicchia, di certo non mainstream. Mi affascinava il mix di rock e melodia di quelle canzoni che avevano la pretesa di uscire dal ‘garage’ e di arrivare alla gente, così ho fatto mio questo genere che in Italia mancava. L’etichetta di artista brit-pop me la sono un po’ cercata, ma devo dire che il continuo accostamento ai fratelli Gallagher da parte della stampa nei confronti di un artista dall’identità ancora in ‘divenire’ è stato, a tratti, pesante.

Hai citato gli Oasis, i Blur e i Radiohead come tue fonti di ispirazione. Ci sono anche artisti italiani ai quali senti di dovere qualcosa?
Sicuramente hanno influenzato la mia scrittura le note che mi arrivavano all’orecchio da bambino, sia dalla radio in macchina che dalla chitarra di mio padre che strimpellava. Dalla, De Gregori e Battisti soprattutto, ma anche Baglioni, Celentano, Iannacci. Tutti cantautori dalle grandi personalità.

Hai calcato, ancora giovanissimo, il palco dell’Ariston. Che ricordi hai di quel periodo?
E’ stata un’esperienza forte sotto molti punti di vista. E’ un palco che mette soggezione anche ai più esperti – e io di certo non lo ero – perché sei consapevole che dietro quelle telecamere ci sono milioni di persone, c’è la gente comune, la stampa, i discografici. Per una settimana è stato come vivere in una bolla, a metà tra un sogno e un delirio, con i fan che ti aspettavano sotto l’hotel e davano vita e vere e proprie scene di isteria collettiva. I ricordi che ho di quel periodo sono bellissimi, ma anche caotici e confusi. Sono comunque molto grato di avere avuto la possibilità di prendere parte a questa grande festa della musica, sebbene credo che all’epoca non fossi pienamente consapevole di quello che stavo vivendo…

E a proposito di consapevolezza: se tu potessi dare un consiglio al Daniele dell’epoca, quale sarebbe?
Altro che ‘no regrets’, come canta Robbie Williams. Darei sicuramente più consapevolezza al ragazzo che ero, perché nella confusione che vivevo non sempre ero presente a me stesso. Cercherei di respirare un po di più e di godermi il momento, ma anche di darmi spazio e tempo di riflettere, di dire anche di no qualche volta. Qualche anno fa ho portato le mie due figlie a un incontro con Fedez e sono rimasto molto colpito dalla sua sicurezza, dal suo sapere esattamente chi era e cosa voleva. Una consapevolezza che io, alla sua età, mi sarei sognato – magari perché per indole sono più sensibile e tendo a farmi trascinare dalle cose.
Per quanto riguarda le scelte artistiche che ho fatto, una parte di me lascerebbe tutto così com’è, un’altra sarebbe curiosa di vedere ‘come sarebbe andata se’. Mi riferisco soprattutto al mio secondo album Bit, in occasione del quale decisi di ‘tradire’ il sound del primo, Variatio 22, perché stanco delle critiche che mi venivano rivolte per la vicinanza agli Oasis.

Ripensando a tutta la tua carriera, qual è la cosa della quale vai più fiero?
Sicuramente i due giorni trascorsi in studio con Lucio Dalla per la scrittura del testo di Lory. Non mi sembrava nemmeno reale, soprattutto perché Lucio mi parlava come se fossimo stati pari, ma io mi sentivo soltanto un suo fan, un ragazzino al cospetto di in un pezzo di storia vivente. Sono fiero anche della mia collaborazione con Renato Zero: lui apprezzava molto la mia musica e mi chiese di aprire i suoi concerti negli stadi di tutta Italia durante le tournée del 2004 e del 2007. Sono state esperienze di live molto forti, insieme a quella del primo maggio 1999, il mio primo vero live. Vado molto fiero anche del mio primo disco, Variatio 22, che mi sono guadagnato con immensa fatica, andando anche contro il volere dei miei che mi avrebbero volentieri visto prendere una laurea perché, si sa, nella musica solo uno su mille ce la fa.

Se dovessi far ascoltare un solo brano a una persona che non ti conosce affatto, quale sceglieresti?
Sicuramente sceglierei tra i miei brani più popolari, nei confronti dei quali nutro un senso di gratitudine perché sono quelli che mi hanno regalato un rapporto con la gente, la possibilità di viaggiare, di esibirmi e cantare con loro. Probabilmente sceglierei Sei un miracolo, un mio piccolo evergreen, oppure Daisy, che in fondo è quella che mi rappresenta di più. Ogni riga del testo è ispirata a un libro, a una poesia o a un momento di vita vissuta.

Dopo il terzo album Mi accordo, uscito nel 2004, ti sei allontanato dal grande pubblico. E’ stata una scelta tua oppure il risultato di contrasti con, ad esempio, l’etichetta discografica?
In realtà ho lavorato a un quarto album che sarebbe dovuto uscire nel 2008, anticipato già nel 2007 dal singolo Prendimi, frutto di una collaborazione con i Fool’s Garden (quelli diventati famosi con Lemon Tree, ndr). Quel singolo uscì nel mezzo di una serie di cambiamenti epocali per l’industria della musica. Cominciavano a ingranare i talent, la musica si cominciava a scaricare, i dischi si vendevano molto meno. I discografici mi rassicuravano, il problema non ero io, ma io mi convinsi del contrario e decisi di prendermi una pausa a tempo indeterminato. Avevo la sensazione che non ci fosse più pubblico disposto ad ascoltarmi e ho preferito non far uscire mai quel disco per non ‘bruciarmelo’. La pausa però è durata più a lungo del previsto. Quando nel 2015 ho fatto un tentativo di ritorno con il brano Bellissima la verità (supportato da alcuni amici romani produttori) mi sono reso conto che il modo di fruire la musica era ormai radicalmente cambiato. Si tende a sottovalutare la storia che il tempo passa…

L’allontanamento dal grande pubblico, tra l’altro, ha riguardato non soltanto te ma tutta una serie di cantautori di fine anni novanta\inizio anni duemila – penso a Luca Dirisio, Simone Tomassini, Paolo Meneguzzi – che nonostante abbiano continuato a produrre, sono rimasti ai margini…
Si sa, la musica è monopolio dei giovani. Ti ricordo che sono passati già vent’anni!

A proposito di giovani, ascolti volentieri gli artisti di oggi?
Grazie alle mie ragazze di diciotto e vent’anni sono rimasto aggiornato sul panorama musicale, che a mio avviso oggi è molto frammentato e ‘citazionistico’, senza particolari icone o elementi di rottura. E’ un grande caleidoscopio con poca caratterizzazione, conosci la canzone ma quasi mai sai chi è che canta. Tutto è suddiviso in playlist e non si ascoltano più i dischi dalla prima all’ultima traccia. Detto ciò, trovo molto interessante Frah Quintale: bella vocalità, testi interessanti e un sound un po’ funk alla Jamiroquai. Apprezzo molto anche il nuovo indie italiano: i TheGiornalisti e Tommaso Paradiso, Coez e soprattutto Calcutta che considero il capostipite di questo nuovo filone, importanza che, in questo senso, definirei già storica. Se mi si presentasse l’occasione, di certo non rifiuterei una collaborazione con uno di questi artisti!

L’ultima domanda è esattamente il titolo della rubrica. Che fine hai fatto? Tornerai?
Ammetto di essere stato a un passo dal mollare, ma sento di avere ancora un debito, come se avessi ancora qualcosa da portare a termine. Non so dirti quando succederà, ma l’intenzione di ritornare c’è, anche se sono consapevole di non avere tutta l’energia che avevo un tempo, necessaria per lavorare a un disco ed eventualmente a una bella tournée. In ogni caso, in questa lunga assenza non ho mai smesso di scrivere, ma anche di riscrivere e perfezionare materiale che avevo già, soprattutto durante il lockdown. Ho delle canzoni che non voglio lasciare nel cassetto e il giorno in cui usciranno saprò che, anche se non sono perfette, rappresentano il meglio che potessi fare.

Facciamo un grosso in bocca al lupo a Daniele per i suoi progetti futuri e speriamo in un suo ritorno! Quale artista ti piacerebbe fosse il protagonista del prossimo Che fine hanno fatto? Faccelo sapere!

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I concerti di Febbraio: Stereophonics, Liam Gallagher, Kaiser Chiefs

English version below.

E’ stato un mese breve, intenso, ma soprattutto pieno di musica live. Sono tre gli artisti che sono approdati qui nei Paesi Bassi e si tratta di tre artisti che hanno scritto le pagine migliori della musica rock inglese degli ultimi vent’anni. Non potevo assolutamente perdermeli!

1 Febbraio, AFAS Live (Amsterdam): Stereophonics, Kind Tour 2020
Il mio tour de force è cominciato il primo del mese con gli Stereophonics e la tappa del Kind Tour 2020 di Amsterdam. Kind è anche il nome del loro ultimo album in studio, uscito il 25 ottobre 2019 e anticipato in estate dai singoli Fly like an Eagle e Bust this town. Il concerto è stato aperto da Nadia Sheikh, voce pop e chitarre cattive, che non conoscevo ma che ho apprezzato (qui potete ascoltarla in Flip the Coin). Nonostante il tour si chiami Kind come l’ultimo disco della band, lo show non è per niente costruito intorno a questo disco. Anzi, gli Stereophonics non suonano che due pezzi da Kind che comunque, detto tra noi, è un progetto che poco regge il confronto con quelli precedenti (mi riferisco soprattutto Just Enough Education to Perform e Scream Above the Sounds, secondo me i migliori). In un AFAS strapieno e dall’acustica discutibile, il che causa problemi soprattutto nella prima parte del concerto, ripercorriamo la carriera della band del Galles cominciata ormai quasi trent’anni fa, attraverso hit come Maybe Tomorrow, Have a Nice Day, Mr. Writer e ovviamente Dakota. Tutti bravissimi, ma il frontman Kelly Jones è una spanna sopra tutto e tutti – perfetto, forse troppo. Il tour degli Stereophonics continua nei prossimi mesi in UK, Irlanda e Paesi Bassi. Qui potete trovare le date.

7 Febbraio, Ziggo Dome (Amsterdam): Liam Gallagher, European Tour 2019/2020
Dopo l’uscita dell’ultimo album in studio Why me? Why not nel settembre del 2019, Liam comincia la promozione del disco con una tournée in Irlanda e Regno Unito, per poi approdare dall’altro lato della Manica. Sono stata alla tappa di Dublino a novembre 2019 e ho voluto replicare con Amsterdam, ma fino all’ultimo minuto nessuno sapeva se il concerto si sarebbe tenuto. Solo 48 ore prima, infatti, Liam aveva abbandonato il palco ad Amburgo perché aveva completamente perso la voce. Dopo la band supporto, i fedelissimi Twisted Wheel (qui potete ascoltare la loro Strife), Liam sale sul palco e apre con Rock’n’Roll Star. La voce va e viene – in 48 ore non possono succedere miracoli – ma non sembra essere un problema. E’ il pubblico ad aiutarlo a cantare e nonostante i problemi Liam riesce a regalarci una bellissima versione di Stand by Me, inserita in scaletta contro ogni pronostico. La scaletta è un compromesso tra molti brani degli Oasis e brani tratti dall’ultimo album (che nel Regno Unito ha debuttato al numero 1) come i singoli Shockwave, The River e la meravigliosa Once. Il tour di Liam Gallagher continua in tutta Europa, qui tutte le date in aggiornamento.

17 Febbraio, Tivoli Vredenburg (Utrecht): Kaiser Chiefs, Duck Tour 2020
La band indie rock di Leeds approda al Tivoli Vredenburg di Utrecht il giorno dopo aver registrato il tutto esaurito ad Amsterdam, per una tappa del tour che porta il nome del loro ultimo disco uscito la scorsa estate, Duck. Aprono i Port Noir, svedesi e incazzati, un mix di rock, hip-hop e r&b (not my cup of tea, ma se li volete ascoltare, questa è Flawless). La scenografia è pazzesca: in fondo a destra c’è il capanno che compare anche sulla copertina di Duck, la batteria e le tastiere sono caricate in cima a due gigantesche ruote di trattore, gli amplificatori risplendono e la scritta ‘Kaiser Chiefs’ campeggia in alto a sinistra, fatta di lampadine. Ricky Wilson sale sul palco vestito di bianco (cercherò di non parlare del suo fascino perchè potrei andare avanti per ore) e apre il concerto con People know how to love one another, la prima traccia di Duck. Non ci mettiamo molto a capire che il virus di Gallagher ha colpito anche Ricky perché la sua voce, come quella di Liam, va e viene. E’ lui stesso alla fine della prima canzone ad ammetterlo e aggiunge ‘Mi dispiace, stasera niente Kaiser Chiefs’. Fa per andarsene, poi cambia idea e torna davanti l’asta del microfono. ‘Il concerto ci sarà, ma dovete aiutarmi a cantare’. Vado contro la critica olandese, che li ha praticamente distrutti, e vi dico che sebbene tecnicamente non sia stato il loro migliore live, alla fine il carisma di Ricky (che riempiva le pause tra le canzoni con l’aerosol portatile), la bravura degli altri membri della band e i brani di Duck (un album davvero niente male) hanno compensato la voce assente del frontman. Entusiasmanti durante la performance della loro hit Ruby, perfetti in Record Collection – il singolo che ha anticipato l’uscita dell’album. Andrò sicuramente a rivederli, magari non nella stagione dell’influenza. Il tour riprende in tutta Europa da aprile, qui le date.

Ora tocca a voi. Che concerti avete visto questo mese?

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February’s gigs: Stereophonics, Liam Gallagher, Kaiser Chiefs

This month was short, intense and full of live music. Three great artists have showed up here in The Netherlands, three artists who have written some of the best pages of British rock music during the last twenty years. Could I miss them?

February 1st, AFAS Live (Amsterdam): Stereophonics, Kind Tour 2020
My tour de force started the first day of the month with Stereophonics and their gig in Amsterdam as part of the Kind Tour 2020. Kind is also the name of their last studio album, released on October 25th 2019 and anticipated in the summer by the singles Fly like an Eagle and Bust this town. The show started with a performance by Nadia Sheikh, who brought her pop voice and aggressive guitars. I had never heard of her but I quite appreciated her music (here you can listen to Flip the Coin). Even though the tour has been named after Stereophonics’ last album, the show has not been constructed around this record. The band only played a couple of songs from Kind – an album that, to be honest, cannot be compared to the previous ones. I am talking about albums like Just enough Education to Perform and Scream Above the Sounds, which are the best ones in my opinion. The venue was full and there were some technical issues which caused some problems particularly during the first part of the show. We relived the long career of the Welsh band, that started thirty years ago, through hits as Maybe Tomorrow, Have a Nice Day, Mr. Writer and of course Dakota. The band did great, but the frontman Kelly Jones is a cut above everything and everyone – he’s perfect, maybe too perfect. Stereophonics will go on with their tour in the UK, Ireland and The Netherlands. Here you can find the dates of the upcoming gigs.

February 7th, Ziggo Dome (Amsterdam): Liam Gallagher, European Tour 2019/2020
After the release of the last studio album Why me? Why not in September 2019, Liam Gallagher started promoting the record with a tour in Ireland and the UK and later moved to the other side of the English Channel. I have been to one of the Dublin gigs in November 2019 and I had a great time, so I decided to go also for the Amsterdam gig but until the very last moment no one knew if the gig was going to be on. Only 48 hours earlier, in fact, Liam had left the stage in Hamburg because his voice was completely gone. After the support band, the loyal Twisted Wheel (here you can listen to their Strife), Liam gets on stage and sings Rock’n’Roll Star. His voice comes and goes – miracles can’t happen in 48 hours – but it does not seem to be a problem. It’s the audience that helps him sing and despite the issue Liam delivers a marvelous version of Stand by Me, part of tonight’s setlist against all predictions. The setlist is a compromise between lots of songs by Oasis and songs from his last album (which debuted n.1 in the UK) such as the singles Shockwave, The River and the lovely Once. Liam Gallagher’s tour goes on in whole Europe, here you can find all the gigs.

February 17th, Tivoli Vredenburg (Utrecht): Kaiser Chiefs, Duck Tour 2020
The indie rock band from Leeds went to Tivoli Vredenburg in Utrecht the day after a sold out gig in Amsterdam, part of the tour which is named after the album they released last summer, Duck. The support band is called Port Noir, they’re swedish and seem pretty pissed off, with their mix of rock, hip-hop and r&b (not my cup of tea, but if you want to listen to them, here’s Flawless). The scenic design is awesome: on the back of the stage, on the right side, there is the same hut you can see on the cover of Duck, the drums and the keyboards have been put on a couple of giant tractor wheels, the amplifiers are all shiny and there’s ‘Kaiser Chiefs’ written with led lamps above, on the left side. Ricky Wilson jumps on stage dressed in white (I will try not to talk about how charming he is as I could go on for hours) and sings People know how to love one another, the first track from Duck. It doesn’t take long for us to realize that he must have caught the same virus Liam Gallagher caught, since his voice, just like Liam’s, comes and goes. It’s Ricky himself who admits it at the end of the first song as he announces: ‘I’m sorry, tonight no Kaiser Chiefs’. He heads to the back of the stage, then changes his mind and comes back to the microphone. ‘The gig is on, but you have to help me sing’. I will go against the Dutch critics, that completely destroyed Kaiser Chiefs, and I’ll tell you that even though this hasn’t been their best gig, there’s a couple of things that compensated for the voice problems: Ricky’s charisma (who spent the breaks between songs with his portable nebulizer), the talent of the other members of the band and the songs from Duck (a record which is absolutely not bad). They were amazing during the performance of their hit Ruby and they were absolutely perfect in Record Collection – the single that anticipated the release of Duck. I will definitely see them again in the future, maybe not in the flu season. Kaiser Chiefs will start touring again in Europe in april, here’s the dates.

Now it’s your turn. Have you been to cool concerts last month?

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