Archivi categoria: storia della musica

‘And after all…you’re my Wonderwall’. Identikit di un inno generazionale.

È il maggio del 1995 quando gli Oasis si rinchiudono per due settimane nei Rockfield Studios, in Galles, per registrare il loro secondo album, lo straordinario (What’s the Story?) Morning Glory che, uscito il 2 ottobre 1995, li consacrerà come la band inglese di maggior successo degli anni novanta e leader indiscussi del movimento del brit-pop. Il successo è dovuto soprattutto al terzo singolo estratto dal disco, Wonderwall, che proprio oggi compie venticinque anni. Vogliamo perciò ripercorrere la storia di questo brano intramontabile, inno di un’intera generazione, scritto da Noel Gallagher e reso unico dalla vocalità di suo fratello Liam.

Il titolo e il significato del brano conservano ancora oggi un certo mistero ed è forse anche questo a renderlo così amato. Wonderwall significa letteralmente muro delle meraviglie, è una parola volutamente nonsense. In un primo momento Noel dà alla canzone il titolo Wishing Stone, anche questo nonsense, ma ci ripensa perché non soddisfatto di come si inserisce nel ritornello. Sceglie quindi Wonderwall e in questa scelta vi è racchiuso un omaggio a George Harrison che aveva intitolato una sua produzione da solista proprio Wonderwall Songs, raccolta che fece da colonna sonora a un film intitolato proprio Wonderwall, il cui protagonista spiava la donna da lui desiderata attraverso dei buchi sul muro, appunto il muro delle meraviglie. I fratelli Gallagher non hanno mai nascosto la loro profonda ammirazione per i Beatles, parte integrante di tutta la loro produzione che pullula di omaggi e riferimenti ai Fab4. La stessa Wonderwall contiene anche un riferimento a una winding road, una strada dove tira il vento, esplicito riferimento al celebre brano dei Beatles.

A proposito del titolo della canzone, l’interprete Liam Gallagher ha osservato che, a prescindere da quale sia il significato letterale, Wonderwall è semplicemente una bella parola che può diventare qualsiasi cosa vogliamo. Insomma, dovremmo smetterla di ricercare a tutti i costi un significato. Persino i Travis, che si condividono con gli Oasis il genere, lo stile e l’amore per i Beatles, all’interno del loro brano Writing to Reach you ironizzano sulla faccenda, chiedendosi ‘What’s a Wonderwall anyway?’ (‘E comunque che cos’è un muro delle meraviglie?).

Ma se il titolo è nonsense, qual è il significato della canzone? Subito dopo l’uscita del singolo Noel Gallagher dichiarò che la canzone fosse stata scritta per la sua fidanzata dell’epoca, Meg Matthews, poi diventata sua moglie. In un’intervista del 2002, successiva al divorzio tra i due, Noel ritrattò dicendo che era stata la stampa a spingerlo a fare quella dichiarazione. Aggiunse che non era mai tornato sull’argomento perché sarebbe stato poco carino ammettere con sua moglie che in realtà la canzone non era per lei. Il vero significato di Wonderwall, spiega Noel, è una dedica a un amico immaginario che viene in tuo soccorso quando ne hai bisogno.

Wonderwall fa parte delle canzoni made in UK più conosciute al mondo e anche il video musicale, in bianco e nero con le Ray-Ban di Liam in primo piano, è diventato iconico. La canzone fu suonata live per la prima volta già nell’estate precedente all’uscita di (What’s the Story?) Morning Glory, nel backstage del festival di Glastonbury. È principalmente grazie a questo brano che il disco schizzò al primo posto delle classifiche inglesi, facendo la storia e sfiorando un record: fino al 1996 solo Bad di Michael Jackson era riuscito a vendere di più in così poco tempo. Altrettanto fu il successo riscosso negli Stati Uniti, dove il disco fu certificato platino ben cinque volte e Wonderwall si piazzò seconda nella classifica di Billboard, collezionando anche diverse nomination ai Grammy. Rimane, ancora oggi, una delle canzoni più re-interpretate di sempre: l’ha rifatta persino Jay-Z, ma la versione più riuscita, anche secondo gli stessi fratelli Gallagher che la considerano migliore dell’originale, è quella di Ryan Adams.

È ironico che la consacrazione sia arrivata proprio con una ballad per una band che cercò di costruire la propria immagine a suon di parolacce, rock’n’roll sporco e melodie ruvide. È forse anche per questo che Liam Gallagher, in diverse occasioni, ha dichiarato di essere arrivato a detestarla. Noi, invece, non smetteremo mai di amarla: nel suono di quegli accordi semplici, negli archi e nelle vocali allungate di Liam c’è tutto lo spirito degli anni novanta e la bellezza di quegli anni di fine secolo, quando per connettersi bastava una chitarra e un po’ di birra e non c’erano schermi da fissare, ma solo muri delle meraviglie da immaginare.

40 anni di The Game: i Queen e l’album della svolta

Accadde oggi, ma 40 anni fa: i Queen pubblicano The Game, un album che ha segnato la musica pop degli anni 80. Tra i brani più amati Another One Bites the Dust

Probabilmente, quando i Queen pubblicavano il loro ottavo album in studio, non immaginavano minimamente che quello sarebbe stato il momento della svolta. Il 30 giugno 1980 usciva The Game, il disco che avrebbe segnato la musica rock britannica (e mondiale) per tutto il decennio successivo.

Dopo aver ridefinito i canoni del suono e aver spinto le regole della stravaganza e dell’immaginazione oltre l’asticella del consentito, i Queen si erano aggiudicati definitivamente il titolo di “reali” del pop. Con The Game faranno qualcosa che nessuno si sarebbe mai aspettato da loro: useranno il sintetizzatore. Fino a quel momento infatti Freddie Mercury, Brian May, John Deacon e Roger Taylor si erano rifiutati di farlo, rivendicando con orgoglio la genuinità della loro musica e la complessità delle composizioni strumetali – spesso rivoluzionarie!

Con The Game, invece, si convertono (forse per gioco?) ai synth e l’effetto è stupefacente: dal rock acustico e dal sapore Fifties di Crazy Little Things Called Love, alle melodie funk e moderne di Another One Bites the Dust, i Queen scalano le classifiche di mezzo mondo raggiungendo anche il mercato del R&B, fino a quel momento a loro sconosciuto. Ma con il successo arrivano inesorabili anche le perplessità della critica, che attacca il gruppo sia sul piano musicale sia dell’immagine.

Il tempo ha dimostrato che i Queen tutto sommato avevano ragione: pur non rappresentando il meglio dei fantastici quattro, The Game è riuscito a imporsi come l’album della svolta elettronica, influenzando non solo la musica di quegli anni ma anche i lavori successivi della band.

Track list

1 Play the Game – 3:33
2 Dragon Attack – 4:19
3 Another One Bites the Dust – 3:32
4 Need Your Loving Tonight – 2:49
5 Crazy Little Thing Called Love – 2:48
6 Rock It (Prime Jive) – 4:33
7 Don’t Try Suicide – 3:52
8 Sail Away Sweet Sister (To the sister I never had) – 3:33
9 Coming Soon – 2:51
10 Save Me – 3:49

E voi cosa ne pensate? Quale tra queste canzoni è la vostra preferita?

Se ti è piaciuto questo articolo non perderti i prossimi! Lascia un commento e seguici sui nostri social. Ci trovi su FacebookInstagram e Twitter.

Discovery Woman: Patti Smith

Poetessa, cantante, artista impegnata. Ma prima di tutto donna: Patti Smith inaugura la rubrica “Discovery Woman” dedicata alle artiste più rivoluzionarie e rivolta a tutti coloro che hanno bisogno di ispirazione per rivoluzionare se stessi

C’è un momento, nella vita di una donna, nel quale ognuna di noi capisce di essere diventata donna. Diciamo addio alle sicurezze dell’infanzia, addio alle incertezze dell’adolescenza e prendiamo atto che quello sarà il punto di non ritorno. Per Patti Smith quel momento arriva a 19 anni: rimane incinta di un ragazzo più giovane di lei ma è troppo povera e insicura per tenersi la bambina. Decide quindi di darla in adozione, assicurandola alle cure di una famiglia benestante e amorevole. Non la rivedrà mai più. Per la giovane Patti il momento della rinuncia alla maternità sancirà l’impegno di fare della sua vita qualcosa di importante. Con le cicatrici sul ventre e nell’anima sale su un autobus e parte per New York, che negli anni 60 è il centro nevralgico della rivoluzione culturale in America. Patti Smith non ha ancora chiaro che cosa le riserverà il futuro, ma sa cosa vuole: diventerà una poetessa.

Chicago, 30 dicembre 1946. E’ un lunedì notte. La bufera di neve ha paralizzato il quartiere di North Side, ma non Patricia Lee Smith, che viene alla luce proprio in quella notte di tempesta. La ragazzina con i capelli corvino, le mani lunghe e il fisico androgino è considerata poco attraente dal padre, il quale la indirizza agli studi magistrali affinché diventi insegnante, un buon impiego per una ragazza “bruttina” che di certo non si sposerà mai. La madre invece le insegna le preghiere e le legge le poesie di William Blake. A 16 anni le dona La favolosa storia di Diego Rivera. Patti inizia a sognare una vita bohemien come quella di Diego e Frida, ma solo a 20 anni avrà il coraggio di mollare il New Jersey per New York.

Senza soldi, senza casa e senza cibo Patti inizia a lavorare come cameriera in un ristorante italiano di Times Square. Tre ore dopo il suo debutto, rovescia un piatto di vitello al parmigiano sul completo in tweed di un cliente e capisce di non avere futuro in quella professione. I primi tempi dormirà in metro, nei cimiteri, per strada e anche nel bagno del negozio di artigianato etnico dove finalmente lavora come cassiera. E in quel negozio farà la conoscenza di Bob.

«1967: era l’estate in cui morì Coltrane. L’estate di Crystal Ship. I figli dei fiori levavano le braccia vuote e la Cina esplodeva l’atomica. Jimi Hendrix dava fuoco alla sua chitarra a Monterey. La radio AM suonava Ode to Billie Joe. Ci furono rivolte a Newark, Milwaukee e Detroit. Era l’estate di Elvira Madigan, l’estate dell’amore. E in quell’atmosfera mutevole, per nulla accogliente, un incontro casuale cambiò il corso della mia vita. Fu l’estate in cui incontrai Robert Mapplethorpe»
(Patti Smith, Just Kids)

Lui, Robert Mapplethorpe, ancora non sa che diventerà il più famoso fotografo del 900. Lei, Patti Smith, ancora non sa che diventerà la sacerdotessa del rock. Entrambi si innamorano e vanno a vivere insieme in un appartamento scalcinato e dal fitto basso, al 160, Hall Street. Lo arredano con mobili di seconda mano e con decorazioni che Robert crea con le sue mani durante le ore del riposo. Entrambi fanno lavori saltuari, cercano di risparmiare il più possibile e spesso si trovano a dover scegliere tra placare i morsi della fame con un sandwich, oppure spendere i soldi per tele e colori con cui fare arte. Dipingono, creano, si amano. Sono instancabili e sono felici.

– Oh, dai, fai loro una foto, disse la donna, rivolgendosi al marito un po’ perlesso. Sono sicura che siano due artisti. Forse un giorno saranno qualcuno. – Frena il tuo entusiasmo, tesoro. Non sono altro che due ragazzini- replicò il marito scrollando le spalle.

(Patti Smith, Just Kids)

Quei due ragazzini spiantati e senza soldi cambiano continuamente amicizie e abitazione. Scelgono di andare a vivere in una stanza del Chelsea Hotel e si circondano di artisti e intellettuali senza avere chiara la percezione di quello che accade intorno a loro. Sentono che il mondo sta cambiando e che loro sono la voce di quel cambiamento. Robert si dedica alla fotografia, Patti alla poesia e alla musica. L’idea di fare la cantante non l’aveva mai sfiorata, ma il suo bisogno di comunicare e di risvegliare la gente prevale su tutto.

«La mia missione è comunicare, risvegliare la gente, darle la mia energia e ricevere la sua. Ci siamo dentro tutti, e io reagisco emotivamente come lavoratrice, come madre, come artista, come essere umano dotato di voce. Tutti noi abbiamo una voce. Abbiamo la responsabilità di allenarla e di usarla»

(Steven Sebring, Patti Smith: Dream of Life)

Perché dovremmo ispirarci a Patti Smith?

  • Non è mai troppo tardi per realizzare i propri sogni: Patti Smith inizia a fare musica nel 1974, a ventotto anni. Oggi ha 74 anni ma continua a esibirsi (in barba a tutti coloro che dicevano fosse vecchia!) Nel 2007 è entrata a far parte della Rock and Roll Hall of Fame. E’ stata povera, ma è riuscita a farsi strada con le unghie e con i denti.
  • Dalle esperienze più dolorose che la vita ci presenta possiamo solo imparare: la vita della sacerdotessa del rock è stata un susseguirsi di lutti e abbandoni. Ma anche dopo aver annunciato l’abbandono dalle scene, Patti Smith ha ripreso a suonare, dedicandosi a progetti umanitari
  • Non importa la meta, ma il viaggio che intraprendi per arrivare alla meta: la giovane Patti sognava di diventare una poetessa. Tra mille difficoltà è riuscita a realizzare il suo sogno diventando molto di più di una poetessa
  • I commenti sulla sua fisicità non l’hanno mai demotivata: il padre pensava che fosse troppo brutta per sposarsi. Molti critici l’hanno definita un “corvo” per via del suo look. Patti Smith si è sposata comunque, è diventata madre e ha continuato a vestirsi come le pareva. Dopo tutto lei è Patti Smith.
  • People Have the Power: non solo una canzone, ma un inno generazionale e un’ode alla consapevolezza: ognuno di noi può fare la differenza, anche se si tratta di una goccia nell’oceano.

Ti è piaciuto questo articolo? Lascia un commento e seguici sui nostri social. Ci trovi su FacebookInstagram e Twitter.

Nick La Rocca, il padre del Jazz

New Orleans, 1916. Nick La Rocca, giovane cornettista di origini trapanesi, assieme ad altri cinque musicisti italoamericani, fonda una band che cambierà per sempre la storia della musica: l’Original Dixieland Jass Band.

Si dice che il jazz sia nato a New Orleans. Ma, per quanto questa informazione sia quasi dogmatica, ogni appassionato lo sa bene: la storia non è così semplice.

Il seme del jazz è emerso dai canti di lavoro che animavano i discendenti degli schiavi africani nei campi di cotone dei grossi latifondisti nel caldo Sud degli Stati Uniti; è nato dalla forza che la musica poteva dare ai disperati e agli emarginati, agli ultimi, agli oppressi, alla massa silenziosa che era braccia e gambe di un Paese intero, a cui non era neppure riconosciuta la dignità di esseri umani.

Il jazz è nato da strumenti ricavati da zucche e scatole sistemate alla buona, suonato da bambini nei pressi di Barbershop con le rotelle a righe girevoli e colorate.

La commistione tra la più viscerale e brutale musica istintiva blues, unitasi alla raffinatezza ed eleganza della musica classica di tradizione secolare, ha dato origine ad una forma sublime di arte che non ha mai smesso di evolvere.

Espressione più incredibile dell’unione dei due emisferi mondiali, la musica jazz ha strabiliato e ancora continua a farlo, attraverso il passato e il futuro.

Ma allora come mai, con così tanta convinzione, spesso si afferma la teoria secondo cui la nascita del jazz sarebbe collocata proprio a New Orleans?

Perché, tecnicamente, è proprio New Orleans la città in cui si parla per la prima volta di “jass.

Ma adesso facciamo un passo indietro, ed andiamo a conoscere Nick La Rocca, conosciuto anche come “il padre del Jazz”.

Nato l’11 aprile 1889 a New Orleans da Girolamo e Vita La Rocca, siciliani entrambi emigrati in Louisiana, dove era presente una grande comunità di italo-americani, Nick era figlio d’arte: anche suo padre era infatti, come lui, un cornettista. Ma, come spesso succede, Girolamo non era molto entusiasta di sapere che suo figlio aveva intenzione di diventare un musicista, e finché rimase in vita, gli impedì di dedicarsi allo strumento a tempo pieno.

Quando però ebbe la possibilità di dare sfogo alla sua passione, Nick infiammò la sua cornetta.

Iniziò a comporre dei brani, ed esibirsi per gli amici del quartiere e del teatro vicino la sua casa, fino a quando, un giorno, fu notato da Johnny Stein.

Ben presto però, Nick iniziò a desiderare l’indipendenza. Era giovane, talentuoso, ambizioso: voleva una band tutta sua, in cui dare sfogo alle idee creative. Qualcosa per cui essere ricordato.

E così, nel 1916, staccandosi da Stein, fondò un quintetto con altri quattro musicisti italo-americani.

Ed in quel preciso momento venne scritta la storia.

La band prese il nome di Original Dixieland Jass Band.

E, nel 1918, Nick, confermandosi il leader della band, cambiò la parola jass con jazz.

Scegliendo “jazz” anche come nome per il genere che suonavano, La Rocca se ne assicurò l’associazione perpetua col proprio nome. La O.D.J.B, infatti, viene ancora considerata, ufficialmente, la prima jazz band al mondo, produttrice anche, ovviamente, del primo album jazz, esportatrice inoltre della “nuova musica” nel vecchio continente.

Il gruppo di La Rocca, infatti, suonò nel 1919 a Londra per festeggiare la firma del Trattato di Versailles, e davanti alla famiglia reale di Re Giorgio V (grande amante della musica moderna).

In modo forse poco umile, ma sicuramente calzante, Nick amava definirsi il “Cristoforo Colombo della musica”.

Dopo aver costellato con successi straordinari la sua carriera, essere diventato padre di sei figli, La Rocca si spense a 72 anni, nella città in cui era nato ed in cui tutto era iniziato.

Ancora oggi la sua leggenda viene raccontata dagli studiosi e celebrata in numerosi festival, anche nel nostro Stivale. Dal 2002, infatti, ogni anno, nel mese di settembre, a San Giorgio a Cremano (NA) si organizza il Nick La Rocca Jazz Festival, rassegna incentrata interamente sulla musica jazz nostrana e d’oltreoceano.

Ti è piaciuto questo articolo? Lascia un commento e seguici sui nostri social. Ci trovi su FacebookInstagram e Twitter.

5 cose che non sapevi su Eric Clapton!

English version below

Ieri, Eric Clapton, leggenda vivente del blues, ha compiuto 75 anni. Un compleanno importante! Festeggiamolo insieme, scoprendo 5 curiosità sul grande cantante e chitarrista che ha infiammato, ed ancora infiamma, la storia della musica.

1) Credeva di essere il fratello di sua madre

Non si tratta della trama di una soap di basso livello! È tutto vero: il piccolo Eric Clapton credeva che i nonni materni fossero i suoi genitori, e che sua madre, Patricia Molly, fosse sua sorella. La donna aveva partorito Eric all’età di sedici anni, ed il padre era un soldato canadese che fece ritorno in patria prima della nascita del bambino. Patricia Molly si trasferì in Germania quando sposò un altro soldato, ed Eric rimase coi nonni a Ripley, nel Surrey (UK).

2) Ha avuto un figlio con la modella italiana Lory Del Santo

Lory Del Santo, fiera icona del trash italiano, che ha raggiunto un enorme pubblico nell’ultima decade soprattutto grazie alla produzione della web-series The Lady, è stata una compagna di Eric Clapton. I due hanno avuto un bimbo che purtroppo è venuto a mancare in tenera età. A lui, Clapton ha dedicato la canzone “Tears in Heaven”.

3) Il suo soprannome è Slowhand (it. “Mano lenta”)

Questo soprannome, ufficializzato come titolo di un suo album (1977), gli venne dato da Giorgio Gomelsky, manager degli Yardbirds, nel 1964. Pare che derivi dal fatto che, suonando molto velocemente, Eric era solito rompere la corda del Mi cantino durante i concerti. Secondo un’altra teoria, il soprannome sarebbe riferito al fatto che Clapton sia molto lento nel sostituire le corde della chitarra.

4) Fu un grande amico di Jimi Hendrix

Clapton ed Hendrix si conobbero al Central London Polytechnic, in Regent Street. Era il primo ottobre 1966. Jimi, al secolo James Marshall Hendrix, era un grande fan dei Cream e chiese di esibirsi sul palco con loro suonando Killing Floor. L’esibizione fu un successo.

Clapton si legò a quel giovane chitarrista e non perse mai occasione per suonare insieme a lui da quel momento in poi.

Dopo la sua morte, per onorarlo, Clapton aprì molti dei suoi concerti suonando Little Wing.

5) È l’unico chitarrista al mondo presente per 3 volte nella Rock’n’Roll Hall of Fame

Ebbene sì! Clapton appare per ben tre volte nella prestigiosa Rock’n’Roll Hall of Fame, l’ultima è recentissima e risale al 6 marzo 2020, vinta in qualità di artista solista. Gli altri inserimenti risalgono al 1992, in qualità di membro degli Yardbirds e l’altra in qualità di fondatore dei Cream.

Ti è piaciuto questo articolo? Lascia un commento e seguici sui nostri social. Ci trovi su FacebookInstagram e Twitter.

5 things you didn’t know about Eric Clapton!

Yesterday, the living legend of Blues Eric Clapton turned 75. A very important birthday! Let’s celebrate it together, finding out 5 curiosities about the great singer and guitarist who put history of music on fire, and still he does.

1) He believed he was his mother’s brother

This is not the plot of a poorly written soap opera! It’s all true: young Eric Clapton believed that his maternal grandparents were his parents, and that his mother, Patricia Molly Clapton, was his sister. She had given birth to Eric at the age of sixteen, and his father was a Canadian soldier who returned home before the birth of the boy. Patricia Molly moved to Germany when she married another Canadian soldier, and Eric stayed with his grandparents in Riley, Surrey (UK).

2) He had a son with Italian model Lory Del Santo

Lory Del Santo, proud icon of Italian trash, which has reached a huge audience in the last decade mainly thanks to the production of the web series The Lady, was a companion of Eric Clapton. The two even had a son, who sadly passed away at an early age, Clapton dedicated the song “Tears in Heaven” to his son.

3) His nickname is Slowhand

This nickname, made official as the title of one of his albums (1977), was given to him by Giorgio Gomelsky, manager of the Yardbirds, in 1964. It seems that it derives from the fact that, playing very quickly, Eric used to break the high-E string during the concerts. According to another theory, the nickname would refer to the fact that Clapton is very slow in replacing the guitar strings.

4) He was a close friend of Jimi Hendrix’s

Clapton and Hendrix met at Central London Polytechnic, on Regent Street. It was October 1st 1966. Jimi, aka James Marshall Hendrix, was a huge Cream fan and asked to perform on stage with them playing Killing Floor. The performance was a success. Clapton bonded with that young guitarist and never missed an opportunity to play with him from then on.

After his death, to honor him, Clapton opened many of his concerts playing Little Wing.

5) He is the only guitarist in the world with 3 entries in the Rock’n’Roll Hall of Fame

Well yes! Clapton appears three times in the prestigious Rock’n’Roll Hall of Fame, the last one is very recent and dates back to March 6th 2020, won as a solo artist. The other entries date back to 1992, as a member of the Yardbirds and the other as a founder of Cream.

Did you like this article? Leave us a comment and follow us on our social media. You can find us on FacebookInstagram e Twitter.

5 cose che non sapevi su George Benson

English version below

Domani sarà il 77° compleanno del grande chitarrista e cantante statunitense George Benson, e noi di Smells Like Queen Spirit vogliamo omaggiarlo con questo articolo! Ecco a voi cinque cose che forse non conoscevate su di lui.

1. Ha scritto The Greatest Love Of All

Ebbene sì! Portato al successo dalla magnifica Whitney Houston solo in un secondo momento, The Greatest Love Of All è in realtà firmato da George Benson. Il brano, col testo pieno di speranza e positività, fu scritto per il film The Greatest, con Muhammad Ali, tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’80.

2. Ha un patrimonio stellare

Ad oggi, il patrimonio netto di George Benson equivale alla cifra di 5 milioni di dollari. Il musicista ha iniziato ad esibirsi professionalmente dall’età di 21 anni, e da allora non si è mai fermato.

3. Ha vinto 10 Grammy Awards

Durante tutta la sua carriera, Benson ha collezionato ben 10 Grammy Awards. I primi due nel 1976, con This Masquerade premiata come Miglior Canzone dell’Anno e l’album Breezin per la Migliore Perfomance Strumentale Pop. Gli ultimi Grammys due sono stati vinti nel 2006, al fianco di Al Jarreau, per la Migliore Performance Vocale R&B Tradizionale con il brano God Bless The Child e per la Migliore Perfomance Pop Strumentale con Mornin’.

4. Ha 7 figli ed è Testimone di Geova

Eh già! Il grande chitarrista è sposato dal 1965, anno d’inizio della sua carriera, con Johnnie Lee. La coppia ha in tutto 7 figli. Dal 1979 è diventato Testimone di Geova, ed è molto religioso.

5. The Other Side Of Abbey Road

Benson è un appassionato fan dei Beatles, e in loro onore ha pubblicato l’album The Other Side Of Abbey Road nel 1970, in cui ha ri-arrangiato in chiave jazz le tracce di Abbey Road.

Ti è piaciuto questo articolo? Lascia un commento e seguici sui nostri social. Ci trovi su FacebookInstagram e Twitter.

5 things you didn’t know about George Benson

Tomorrow will be the 77th birthday of the great guitarist and singer George Benson, and we from Smells Like Queen Spirit want to celebrate him with this article! Here you are five things that maybe you didn’t know about him.

1. He wrote The Greatest Love Of All

He did! Albeit the song was brought to success by the amazing Whitney Houston at a later time, The Greatest Love Of All was written by George Benson. The song, whose lyrics are full of hope and positivity, was written for the movie The Greatest, with Muhammed Ali, between the late ’70s and the early ’80s.

2. He has a stellar net worth

At present, George Benson has a net worth of $ 5 million. The musician started his professional career at the age of 21, keeping playing even since.

3. He won 10 Grammy Awards

During his whole career, Benson won 10 Grammy Awards. The first two in 1976, with This Masquerade for the Record of the Year prize and the album Breezin’ for the Best Pop Instrumental Performance Price. The last two Grammys have been won in 2006, with Al Jarreau by his side, for the Best Traditional R&B Vocal Performance and the Best Pop Instrumental Performance

4. He has 7 children and he is a Jehovah’s Witness

Yes! The great guitarist has been married since 1965, the year in which he started his career, with Johnnie Lee. The couple has 7 children. He’s also serving as one of Jehovah’s Witnessess since 1979, and he’s very religious.

5. The Other Side Of Abbey Road

Benson is a great Beatles fan, and to celebrate them he has published in 1970 the album The Other Side Of Abbey Road, in which he has re-arranged the tracks of Abbey Road in a jazz key.

Did you like this article? Leave us a comment and follow us on our social media. You can find us on FacebookInstagram e Twitter.

5 dischi prodotti da Quincy Jones

*English version below*

Quincy Jones è forse il più famoso e grande produttore musicale di tutti i tempi. Musicista, arrangiatore e compositore, ma anche scopritore di talenti. Vediamo insieme 5 album che il re della black music ha portato al successo e alle vette delle classifiche discografihe mondiali

1) Off The Wall – Michael Jackson

Molti lo riconoscono come primo vero e proprio album da solista di Michael Jackson, di certo il primo dopo aver compiuto 21 anni, la soglia della maggiore età negli Stati Uniti.

Viene pubblicato il 10 agosto 1979 dall’etichetta Epic Records. Grazie ad Off The Wall, Jackson vinse il suo primo Grammy Award come cantante solista (premio per la migliore interpretazione R’n’B, con la canzone Don’t stop ‘til you get enough).

2) Thriller – Michael Jackson

Thriller è l’album più venduto nella storia della musica. Rolling Stones lo ha inserito al 20° posto nella lista dei 500 album migliori di tutti i tempi. Vincitore di 8 Grammy Awards nel 1984, rendendo Jackson il primo artista al mondo a vincere 8 premi nella stessa serata. Tutti i singoli estratti da Thriller finirono nella Top 10 della classifica Billboard Hot 100. Tra i brani più famosi: Wanna Be Startin’ Something, Thriller, Beat it e Billie Jean. Fu pubblicato il 30 novembre del 1982.

3) Bad – Michael Jackson

31 agosto 1987. Terzo ed ultimo album scritto in collaborazione con Quincy Jones. Fu l’album che consacrò il cantante al titolo che non perse mai più di Re del Pop. Su 11 tracce, ben 5 finirono in cima alla classifica Billboard Hot 100: Bad, The Way You Make Me Feel, Man in the Mirror, I just can’t stop loving you, Dirty Diana.

4) Donna Summer – Donna Summer

Jones produsse il decimo album in studio della cantante statunitense Donna Summer. Fu pubblicato il 19 luglio 1982 dall’etichetta Geffen, e diventò Disco D’Oro negli Stati Uniti, superando le 500.000 copie vendute.

Tra i brani più noti contenuti in Donna Summer: Love is in control, The woman in me, Livin’ in America.

5) We are The World – USA for Africa (Singolo)

Il 7 marzo del 1985 fu rilasciato un singolo della durata di 7 minuti e 10 secondi. Il titolo era We Are The World. Jones aveva radunato i più importanti artisti sulla scena musicale pop statunitense, e il nome scelto per presentare gli artisti fu USA, la sigla non indicava la nazionalità dei cantanti, ma era un acronimo per United Support Artists. Tutti i proventi (più di 100 milioni di dollari) furono devoluti alla popolazione etiope, in quel periodo colpita da una tremenda carestia. Negli anni ’80 divenne il brano più venduto nella storia della musica.

Ti è piaciuto questo articolo? Lascia un commento e seguici sui nostri social. Ci trovi su FacebookInstagram e Twitter.

5 albums produced by Quincy Jones

Quincy Jones is the greatest and most famous music producer of all times. Musician, arranger and composer, but also talent scout. Here we have 5 albums that the King of Black Music brought to success and on the top of the world rankings.

1) Off The Wall – Michael Jackson

Many recognize it as Michael Jackson’s first true solo album, certainly it’s his first one after turning 21 (when Jackson became legally adult).The album was published on August 10th 1979 by Epic Records label. Thanks to Off The Wall, Jackson won his first Grammy Award as a solo singer (best R’n’B performance, with Don’t stop ‘til you get enough).

2) Thriller – Michael Jackson

Thriller is the best-selling album in the whole history of Musica. Rolling Stones classified it as the 20th in the 500 best albums list. It won 8 Grammy Awards in 1984, making Jackson the first artist in the world who won 8 awards during the same night. All the singles from Thriller went in the Top 10 of the chart Billboard Hot 100. Some of the most famous tracks: Wanna Be Startin’ Something, Thriller, Beat it e Billie Jean. Thriller was published on November 30th 1982.

3) Bad – Michael Jackson

August 31st 1987. Third and last album writted and produced by Quincy Jones. This was the album which gave Jackson the title of King of Pop. 5 out 11 tracks went on the top of Billboard Hot 100 chart: Bad, The Way You Make Me Feel, Man in the Mirror, I just can’t stop loving you, Dirty Diana.

4) Donna Summer – Donna Summer

Jones produced the 10th studio album of the American singer Donna Summer. It was published on July 19th 1982 by Geffen label. It became a Gold Record in the USA, with more than 500.000 copies sold.

Some of the most famous tracks in Donna Summer: Love is in control, The woman in me, Livin’ in America.

5) We are The World – USA for Africa (Singolo)

On March 7th 1985, a 7:10 minutes of lenght single was published. Its title We Are The World. Jones gathered the most important American pop artists under the name USA, which did not indicate the country of all the artists, but the name United Support Artists. All proceeds (more than 100 billion dollars) were donated to Ethiopian people, at time suffering from a terrible famine. During the ’80, We Are The World became the best-selling single in the history of Music.

Did you like this article? Leave us a comment and follow us on our social media. You can find us on FacebookInstagram e Twitter.

Rinascere a vent’anni: La Storia di Wes Montgomery

English version below.

1943. Un brano di Charlie Christian risuona nell’aria, mentre un giovane uomo danza con sua moglie tra le braccia.

È questo l’esatto momento in cui la sua vita viene completamente stravolta.

Sì, decide, comprerò una chitarra a sei corde ed imparerò a suonarla. Diventerò come lui.

E, la promessa che quella notte il diciannovenne Wes Montgomery fece a sé stesso, gli assicurò un posto eterno nel pantheon dei mostri sacri nel mondo del jazz.

Indianapolis. Il 6 marzo 1923 nasceva John Leslie Montgomery, che sin da bambino viene chiamato da tutti Wes.

Suo fratello Monk, dopo aver lavorato e risparmiato abbastanza, gli regalò una chitarra a quattro corde.

Monk era convinto che Wes avesse tutto il potenziale per diventare davvero bravo, ma all’inizio il piccolo Leslie si rivelò un chitarrista piuttosto mediocre.

Fu soltanto dopo aver ascoltato Charlie Christian per la prima volta che iniziò davvero a dedicare la sua vita alla musica. Acquistata una nuova chitarra, a sei corde questa volta, per un anno intero passò le notti e i giorni a studiare gli assoli e le linee chitarristiche di Christian, dimenticando tutto ciò che aveva imparato prima di allora.

Il sangue sulle dita non contava, né la stanchezza, né il dolore. Wes aveva adesso un solo obiettivo: diventare il migliore.

Era possibile? In fondo aveva già quasi vent’anni, e per giunta non aveva mai imparato a leggere uno spartito.

Non voleva neppure diventare un musicista, anzi.

E allora cosa lo spinse a continuare, senza mai arrendersi? Cosa lo alimentò, portandolo a sacrificare tutte quelle ore della sua vita disciplinandosi in maniera quasi cieca?

Fu un desiderio viscerale di riuscire a replicare su quelle corde ciò che lo aveva folgorato. Quella brama lo alimentò e lo mosse come solo le passioni più autentiche sanno fare.

Per evitare di disturbare il vicinato, presto abbandonò anche il plettro. Imparò così a suonare col pollice, e le sue mani col tempo, pizzicando le corde con dolcezza, crearono un suono più morbido e caldo, delineando lo stile inconfondibile che milioni di chitarristi nel futuro avrebbero provato ad imitare (suoi “discepoli artistici” sono, tra gli altri, George Benson, Larry Carlton, Pat Martino).

Il primo disco fu registrato con la Pacific Jazz, negli anni ’50. Cannonball Adderley, stregato dalla sua bravura, lo convinse a registrare con la Riverside, una delle più prestigiose etichette dell’epoca.

Il 1960 fu il suo anno: venne eletto Miglior Musicista Jazz Esordiente dalla rivista Down Beat e Billbord lo nominò Musicista Jazz Più Promettente Dell’Anno.

Il 1961 è l’anno che lo vide al fianco di John Coltrane sul palco del Monterey Jazz Festival.

Nel 1965 viene registrato lo storico album Smokin’ at the Half-Note, in quartetto con Wynton Kelly.

La stella del bebop morì improvvisamente nel 1968 a causa di un attacco cardiaco, durante le registrazioni del suo ventitreesimo album. Aveva 45 anni.

Wes Montgomery se ne andò lasciando una traccia indelebile nella storia del jazz.

Ma il suo fu anche un esempio di vita e di totale abnegazione, che da ogni parte gridava, e che ancora continua a gridare oggi e lo farà sempre. L’amore per la musica, quando è puro, quando è reale, può scardinare le convinzioni della società, anche se ormai sei adulto, e non te lo aspettavi, ma un fuoco sacro ti anima sin dal midollo ed incominci ad inseguire il tuo sogno a vent’anni. E tutto ad un tratto, sei diventato un dio.

Ti è piaciuto questo articolo? Lascia un commento e seguici sui nostri social. Ci trovi su FacebookInstagram e Twitter.

Rebirth at 20: The Story of Wes Montgomery

1943. A Charlie Christian’s track is playing in the background, while a young man is dancing with his wife between his arms.
In this very moment, his life changes forever.
Yes, he decides, I will buy a six-string and I will learn how to play it. I will be good just like him.
And the promise that the 19-year-old Wes Montgomery he made with himself, assured him his own place on the Olympus of the great jazz musicians.

Indianapolis. John Leslie Montgomery was bornonMarch 6th 1923, everybody called him Wes.
His brother Monk, after working and saving enough money, gave him a four-string guitar. Monk believed that Wes could become a really good guitarist, but in the beginning young Leslie he wasn’t very good.

Only after having heard Charlie Christian for the first time, he dedicated his life to music. He bought a new guitar, a
six-string one this time, and he spent every night and day in nearly a year practicing and learning Christian’s guitar lines and solos, forgetting every thing he had learnt in the past.

The blood on his fingers, the fatigue, the pain didn’t matter. Wes had only one goal now: to become the best.

But was it possible? After all, he was about to turn 20, and he had never learnt how to read a music sheet.

And to be honest, he didn’t really want to become a musician in the first place.

So, what moved him, and gave him the strenght not to give up? What to spend all that hours sacrificing his own life for?
It was a visceral desire to replice on his own strings what he found himself fond on. That desire gave him power, such as only the real passions in life can do.

In order to avoid disturbing the neighborhood, he decided to leave the pick. Soon, he learnt how to play with his thumb, and his hands made a delicate and warm sound, developing his famous fringer picking technique, that millions of people tried and still are trying to emulate (among the others, George Benson, Larry Carlton, Pat Martino).

The first album was recorded with Pacific Jazz Records label in the 1950s. Cannonball Adderley, bewitched by his talent, convinced him to record something with Riverside Records, one of the most famous and prestigeous labels of the
time
.

1960 was his year: he was elected The Best Jazz Newcomer by Down Beat magazine and Billbord named him The Most Promising Jazz Instrumentalist of the year.

In 1961 he played at the Monterey Jazz Festival, alongside with John Coltrane.

In 1965 was recorded the famous album Smokin’ at the Half-Note, in a quartet formation with Wynton Kelly.

The rising star of bebop died in 1968 due to a heart attack, while recording his 23rd album. He was 45 years old.

Wes Montgomery left an indelible mark in the history of jazz.

But his was also an example of life and total self-denial, which screamed from all sides, and which still continues to scream today and will always do so.

The love for music, when it is pure, when it is real, can undermine the convictions of society, even if you are an adult now,
and you did not expect it, but a sacred fire animates you right from the core and you begin to pursue your dream in your 20s. And all of a sudden, you find yourself being a god.

Did you like this article? Leave a comment and follow us on our social media. You find us on FacebookInstagram e Twitter.