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‘Making Movies’ dei Dire Straits compie 40 anni! 5 curiosità su questo disco straordinario

Come vi abbiamo raccontato nel Coming Very Soon dello scorso mese, questo ottobre 2020 è pieno di compleanni straordinari. Oggi vogliamo celebrare un album indimenticabile che domani compie ben quarant’anni: stiamo parlando di Making Movies dei leggendari Dire Straits, uscito il 17 ottobre 1980. Si tratta del primo disco della band riuscito a raggiungere le vette delle classifiche mondiali. Un vero e proprio romanzo in musica capace di farci sentire parte delle vicende narrate nei brani, che sono caratterizzati da atmosfere romantiche e testi che suonano proprio come dei dialoghi. Una macchina del tempo che in poco più di trentasette minuti ci riporta all’alba degli anni ottanta, scivolando sugli inconfondibili accordi di Mark Knopfler.

Prendetevi del tempo per riascoltare questo frammento di storia del rock, noi intanto vi raccontiamo cinque curiosità.

  1. I produttori del disco sono il frontman della band Mark Knopfler e Jimmy Iovine. Knopfler era rimasto così colpito dal lavoro che Iovine aveva fatto con gli album Born to Run e Darkness on the Edge of Town di Bruce Springsteen che lo volle al suo fianco per Making Movies. Iovine ‘prese in prestito’ per il disco il pianista Roy Bittan, membro proprio della E Street band di Springsteen.
  2. Il singolo di maggior successo estratto dall’album è Romeo and Juliet, che con i suoi dialoghi coinvolgenti e iper realistici è da considerarsi, seppur con una trama modificata, quasi un primo adattamento cinematografico della tragedia Shakespeariana, a più di un decennio dell’uscita del primo vero adattamento per il grande schermo (quello firmato Luhrmann). Il brano vede un Romeo sofferente e innamorato di una Juliet che lo tratta, per dirla con le parole del brano, ‘solo come un altro dei suoi affari’. La vicenda è ispirata alla sofferta storia d’amore tra Knopfler e la cantante Holly Vincent: si vociferava che lei avesse usato Knopfler solo per acquisire notorietà.
  3. Secondo Nannini e Ronconi, autori di Le canzoni dei Dire Straits (Editori Riuniti, 2003) il brano Romeo and Juliet presenta molte delle caratteristiche tipiche delle ballad della letteratura inglese – è basato su un dialogo, ha una rigida struttura metrica fatta di strofe di quattro versi in rima baciata, prevede diverse assonanze a allitterazioni, ripetizioni e naturalmente un ritornello.
  4. Per un brano di questo disco, Les Boys, i Dire Straits furono accusati di omofobia. Il brano è la fotografia di un gruppo di omosessuali che frequentano i disco bar in Germania e si guadagnano da vivere sfruttando il loro corpo. Pur non riportando alcun commento esplicitamente omofobo, il brano ritrae gli omosessuali in maniera piuttosto stereotipata.
  5. Making Movies è un disco pieno di riferimenti, sia letterari (come quello a Shakespeare), che musicali (l’iconica intro di Tunnel of Love è un estratto da The Carousel Waltz di Rogers and Hammerstein), che cinematografici (la canzone citata dal Romeo di Knopfler è Somewhere tratta da West Side Story, film del 1961). Ma molti sono anche i riferimenti alla vita di Knopfler, come ad esempio la ‘città spagnola’ che l’innamorato di Tunnel of Love cita nella canzone: si tratterebbe di Spanish City, una fiera situata a Whitley Bay, dove Knopfler andava da bambino e dove sarebbe nata la sua intensa storia d’amore con il rock’n’roll, avendolo ascoltato proprio lì, per la prima volta, ad alto volume.


    Vi è piaciuto riascoltare questo splendido disco insieme a noi? Ditecelo con un commento e seguiteci sui nostri social. Ci trovate su FacebookInstagram e Twitter.

5 biografie musicali imperdibili

“Leggete tante biografie. Una sola non è sufficiente. Per non inguaiarsi bisogna beccare la biografia giusta. Solo che non puoi mica sapere prima qual è quella che fa al caso tuo. È per questo che bisogna leggerne tante. Leggetene e regalatene agli amici, potreste fargli un grosso favore” Gianni Minà

La letteratura e la musica viaggiano a braccetto: noi ragazze di Smells Like Queen Spirit siamo delle accanite lettrici, nonché divoratrici di buona musica. Quindi, cosa c’è di meglio di una biografia musicale? L’autunno è il periodo ideale per leggere un buon libro durante i tuoi pomeriggi di relax. Eppure, trovare un libro che faccia proprio per te, non è mica un’impresa facile! Ecco perché abbiamo deciso di consigliarti ben 5 biografie musicali imperdibili:

1. Just Kids, Patti Smith, 2010

Just Kids è il libro di memorie di Patti Smith, nel quale l’artista racconta in prima persona tutte le vicende legate alla sua tormentata relazione con il fotografo Robert Mapplethorpe, scomparso prematuramente nel 1989 (ne abbiamo parlato anche nel primo appuntamento di Discovery Woman che puoi leggere qui). Ma Just Kids non è solo un’autobiografia: è il racconto di un’epoca di rivoluzioni sociali e culturali che avrebbero condizionato profondamente gli anni a venire. E’ il racconto di una New York colorata e decadente, di fine anni 60, dove un incontro fortuito avrebbe segnato in maniera indelebile il destino di due ragazzi, poco più che ventenni, che resteranno per sempre “solo ragazzi”.

2. Bowie. La biografia: 1947-2016, Wendy Leigh, 2017

Ambiguo, sensuale, geniale. Tra confessioni, aneddoti e rivelazioni, tutta la verità sull’enigma David Bowie. Questa biografia, l’unica aggiornata agli avvenimenti più recenti, contiene un inserto con le foto personali del Duca Bianco. L’autrice ha raccolto 75 interviste con amici e persone vicine a Bowie, rivelando le sue caleidoscopiche avventure sentimentali, gli eccessi e le amicizie – a volte vere, a volte controverse- con gli altri musicisti, come Lennon e Jagger. Questo libro è un vero ritratto pubblico e privato di un artista camaleontico, che ha rivoluzionato non solo la musica, ma anche la moda e l’idea di identità sessuale.

3. Born to run, Bruce Springsteen, 2016

La stesura, durata 7 anni, dimostra quanto sia stato difficile per il Boss mettersi a nudo e svelare dettagli personali della sua vita privata, messa nero su bianco e a disposizione di chiunque. Eppure Bruce riesce perfettamente nel suo intento: dalle pagine trasudano esperienza, sentimento, dolore, privazioni ma anche successo e gioie, dimostrando che, solo con una forte dedizione e volontà, è possibile raggiungere qualsiasi obiettivo.

4. My Love Story. L’autobiografia, Tina Turner, 2018

Tina Turner si racconta in maniera onesta e sincera, lasciandosi andare a una riflessione profonda sul senso della vita. In My Love Story Tina mette a nudo le sue fragilità di donna e di artista, rivelando sia i momenti più esaltanti della sua carriera, sia la caduta nel baratro della depressione, a causa di un marito manipolatore e violento. Una lettura intensa e fortemente motivante, dal quale emerge l’immagine di una grande donna, una rockstar che ha saputo sempre rialzarsi e reinventarsi, nonostante tutto. (Parleremo nuovamente di Tina Turner in Discovery Woman di novembre!)

5. Clapton. Autobiografia, Eric Clapton, 2007

Autobiografia di una leggenda del rock, una vita sotto i riflettori che somiglia a un giro di montagne russe. Quella di Eric Clapton è la storia di un sopravvissuto, segnata da successi intramontabili, eccessi e tragici lutti, come la scomparsa del figlio Conor avuto da Lory Del Santo. Ma è anche una storia di amicizia e passione, come quella con George Harrison, interrotta in seguito al matrimonio burrascoso con Pattie Boyd, la prima moglie di Harrison (musa di “Layla”).  Una lettura entusiasmante dove Clapton svela se stesso, senza filtri né pudori. Una lettura che è un farmaco per l’anima.

Vuoi suggerirci altre biografie interessanti? Lasciaci un commento!

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L’Eurovision ai tempi del Covid: come si svolge e dove vederlo

Noi della redazione di Smells Like Queen Spirit Mag eravamo a dir poco elettrizzate quando abbiamo realizzato che l’Eurovision 2020 si sarebbe tenuto nella città dove abita una di noi. Eravamo pronte a sbizzarrirci con live, articoli e contenuti extra direttamente dal famoso tappeto rosso. Nel 2019 la vittoria è andata infatti all’olandese Duncan Laurence con la sua Arcade e, di conseguenza, la kermesse quest’anno si sarebbe tenuta a Rotterdam, nei Paesi Bassi. L’emergenza sanitaria ha messo bruscamente fine alle nostre fantasie. Questa edizione, la numero sessantacinque, è stata annullata, o meglio non si terrà con le modalità alle quali tutti noi eravamo abituati.

La macchina del festival delle bandierine colorate con il quale si celebra la musica del vecchio continente quest’anno resta spenta, ma per fortuna non si spegne la musica. L’edizione di quest’anno si svolgerà in nome del distanziamento sociale e sarà racchiusa in una sola serata senza competizione e senza classifica, quella di sabato 16 maggio dal titolo Eurovision: Europe Shine a Light. L’evento sarà presentato dal trio inizialmente designato per condurre l’intero contest: l’attrice Chantal Janzen, il cantante Jan Smit e la cantante Edsilia Rombley (che aveva partecipato al contest nel 1998 e nel 2007). La YouTube Nikkie de Jager, nota al grande pubblico come NikkieTutorials, curerà i contenuti sui social media. In merito alla manifestazione, il produttore esecutivo Sietse Bakker ha dichiarato:

“Vogliamo mettere in piedi uno show che non solo mette al centro i 41 artisti che si sarebbero dovuti esibire a Rotterdam, ma che riesce a ispirare e a connettere quelli che in questi tempi difficili si trovano in casa, in Europa e al di fuori. Naturalmente renderemo omaggio anche a quelli che sono stati colpiti direttamente dalla crisi e a quelli che lavorano duramente per combattere questo virus. Diamo vita a un momento indimenticabile nella storia dell’Eurovision!” [Fonte: sito ufficiale della manifestazione].

All’evento parteciperanno quindi i 41 artisti che si sarebbero dovuti esibire a Rotterdam, ognuno in diretta da una location speciale nel proprio paese e ognuno con una hit proveniente dalle passate edizioni della kermesse. I brani che gli artisti avrebbero portato all’edizione di quest’anno saranno brevemente fatti ascoltare tra un’esibizione e l’altra. È inoltre prevista una performance di tutti gli artisti del brano Love Shine a Light di Katrina And The Waves, brano vincitore del 1997. Numerosissimi gli ospiti, tra i quali gli ex vincitori Marija Serifovic (Serbia, 2007), Ell & Nikki (Azerbaijan, 2011), Mans Zelmerlow (Svezia, 2015) e Gali Atari (Israele, 1979). Presenteranno i loro nuovi singoli il campione in carica Duncan Laurence (che ci farà ascoltare Someone Else) e l’amatissima Netta, cantante israeliana vincitrice del 2018.

Il programma, prodotto dalle tre emittenti olandesi NPO, NOS e AVROTROS, sarà trasmesso in Eurovisione sulle emittenti nazionali e sul canale Youtube della manifestazione. In Italia lo spettacolo andrà in onda il 16 maggio a partire dalle 20:35 su Rai1, condotto da Flavio Insinna e Federico Russo . Interverranno anche alcuni artisti italiani in gara nelle ultime edizioni, ovvero MahmoodErmal Meta e Fabrizio Moro, Il Volo, Francesca Michielin e Francesco Gabbani, che si esibiranno in brani celebri delle scorse edizioni. Previsto anche un intervento di Albano, mentre i look della serata saranno commentati in diretta da Enzo Miccio. Sarà possibile seguire l’evento anche sulla piattaforma Rai Play, su Rai 4 e Rai Radio 2 in compagnia di Ema Stoccolma e Gino Castaldo.

Quest’anno il nostro paese sarà rappresentato dal cantautore Diodato, reduce dalla vittoria al Festival di Sanremo con il brano Fai Rumore e fresco di David di Donatello per la miglior canzone originale (ha scritto e interpretato il brano Che vita meravigliosa, colonna sonora del film di Ferzan Özpetek La Dea Fortuna). A fare da sfondo all’esibizione di Diodato una location d’eccezione, ovvero l’Arena di Verona completamente vuota, illuminata soltanto da luci bianche e blu.

Noi non vediamo l’ora di assistere a questo Eurovision un po’ diverso. E voi lo guarderete?

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5 dischi imperdibili di Avishai Cohen

(Immagini prese dal web.)

Auguri, Avishai! Ieri il grande contrabbassista israeliano ha compiuto 50 anni. Per festeggiarlo, ecco a voi cinque imperdibili titoli da ascoltare, presi dalla sua discografia.

Definito da Chick Corea “un musicista geniale”, Avishai Cohen è una leggenda vivente del contrabbasso. Nato a Kabri, comune kibbutz nella parte a nord in Israele, ha costellato in breve la sua carriera di successi e collaborazioni stellari: suona al fianco del già citato Chick Corea dal 1996 al 2003, Danilo Pérez, Bobby McFerrin, Alicia Keys e molti altri.

L’Avishai Cohen Trio, nel quale suonano Shai Maestro al pianoforte e Mark Guiliana prima e Itamar Doari dal 2010 in poi, è forse il progetto più brillante del contrabbassista.

Oggi, la nostra redazione, vi consiglia questi titoli imperdibili:

1) Adama (1998)

Primo Album di Cohen, tutti i brani portano la sua firma a parte uno: Besame Mucho.

Nell’album hanno suonato, tra gli altri, Chick Corea, Brad Mehldau, Jeff Ballard.

2) Gently Disturbed (2008)

 Influenze di epoche e Paesi diversi si mescolano nelle complesse ritmiche di questo album, che riesce allo stesso tempo a restare bellissimo. Un vero must per gli amanti del jazz.

3) Aurora (2009)

In Aurora ci sono tutti gli impulsi culturali che hanno accompagnato Avishai nella sua vita. Troviamo diversi idiomi e atmosfere di diverse aree geografiche.

4) Seven Seas (2011)

Anche in questo album, Cohen si riconferma un musicista eclettico ed un compositore sublime.

5) 1970 (2017)

In questo album la vena è decisamente più pop e folk, e forse meno jazzistica rispetto agli altri, e una cosa è certa: restare fermi durante l’ascolto sarà impossibile. Avrete voglia di ballare sin dalle prime note di Song of Hope.

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5 film sulla musica che non puoi non aver visto

(English version below)

Gli incontri tra il mondo della musica e quello del cinema hanno sempre il loro perché. Dopo i documentari musicali da non perdere su Netflix (che potete trovare qui), oggi abbiamo deciso di proporvi cinque film sulla musica che vi faranno cantare ed emozionare. Prendete i pop corn e mettetevi comodi!

Rocketman (2019). Cominciamo questa carrellata con un film da Oscar. Diretto da Dexter Fletcher, Rocketman si é infatti aggiudicato l’ambita statuetta per la miglior canzone con il brano (I’m gonna) Love me again. Si tratta del film sulla vita di Elton John, interpretato magnificamente da Taron Egerton. Il film ripercorre la difficile infanzia di Reginald, l’amore per la musica, l’ascesa e la trasformazione nella rockstar Elton che tutti conosciamo. Ci vengono mostrati anche i lati meno glamour della scalata al successo, come i gravi problemi con la droga che Elton ha dovuto affrontare nei primi anni di carriera. Un ritratto splendido dell’uomo e dell’artista che non potete perdervi.

Yesterday (2019). Come sarebbe il mondo se non fossero mai esistiti i Beatles? Con Yesterday possiamo farci un’idea. Il film ha per protagonista l’aspirante cantautore Jack Malik (Himesh Patel), che in un mondo dove i Beatles non sono mai esistiti é l’unico a sapere le canzoni. Nel cast anche Ed Sheeran, nei panni di sé stesso. Il film si trasforma mano a mano in una commedia romantica dal finale abbastanza prevedibile, ma in compenso riesce nel tentativo di far ridere e di farci riflettere sull’enorme impatto che i Beatles hanno avuto sulla nostra cultura. Anche le interpretazioni di Himesh Patel dei pezzi dei Fab 4 non sono niente male. La regia è affidata a Danny Boyle.

Quando l’amore brucia l’anima – Walk The Line (2005). Questo film, diretto da James Mangold, è basato sulle autobiografie del grande cantante country americano Johnny Cash, interpretato da Joaquin Phoenix. Ripercorriamo la sua vita prima del successo, l’ascesa e la tormentata relazione amorosa con June Carter, interpretata da Reese Whiterspoon che per la sua performance vinse l’Oscar come migliore attrice. La colonna sonora include i brani I Walk the Line, Cry Cry Cry, It Ain’t me Babe – tutti egregiamente interpretate dagli attori.

Ray (2004). Uno splendido ritratto del cantante e pianista statunitense Ray Charles, interpretato da Jamie Foxx che per questo ruolo si aggiudicò l’oscar come migliore attore. Ray Charles purtroppo non riuscì a godersi il film sulla sua vita: Ray uscì infatti a settembre del 2004, solo 4 mesi dopo la morte dell’artista. Una vicenda che ispira, entusiasma e insegna che il talento e la passione non conoscono ostacoli. Regia di Taylor Hackford.

Tommy (1975). Questo film del 1975 diretto da Ken Russell celebra quella che viene considerata la prima opera rock della storia, l’album Tommy dei The Who, uscito nel 1969. Stilisticamente apprezzato per essere un’antologia del cinema inglese degli anni quaranta-settanta, il film vanta inoltre un cast stellare con grandi nomi del mondo della: Jack Nicholson, Elton John, Tina Turner, Eric Clapton, Robert Powell e gli stessi The Who. Il film racconta la difficile vita di Tommy, che ispirò l’album della celebre rockband britannica.

E voi, avete visto questi film sulla musica? Vi sono piaciuti? Quali sono i vostri preferiti?

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5 movies about music that you should absolutely watch

When music and film meet, the result is always pretty fascinating. We have already posted about music documentaries on Netflix that you can’t miss (you can find them here), today we decided to tell you about five movies about music that will make you sing and get emotional. Get yourself some popcorns and sit back!

Rocketman (2019). We would like to start with an Oscar movie. Directed by John Fletcher, Rocketman has been awarded with the precious little statue for Best Song for (I’m gonna) Love me again. This movie is about the life of Elton John, wonderfully played by Taron Egerton. The movie tells the story of his childhood as Reginald, his love for music, his success and the transformation into Elton, the rockstar everybody knows. We also get to see the less glamour sides of success, like the drug problems Elton had to deal with during the first part of his career. A beautiful portrait of the man and the artist that you can’t miss.

Yesterday (2019). What would the world be like if The Beatles never existed? With Yesterday we can get an idea. The film tells us the story of the wannabe singer and songwriter Jack Malik (Himesh Patel) who, in a world where The Beatles never existed, is the only one that knows their songs. It also stars Ed Sheeran, who plays himself. The movie gradually turns into a romantic comedy with an ending that is also pretty predictable, but it sure makes you laugh and it makes you understand that the impact The Beatles have had on our culture is huge. Himesh Patel’s performances of the Fab 4 songs are not bad at all. The film has been directed by Danny Boyle.

Walk The Line (2005). This movie, directed by Hames Mangold, is based on the autobiography of the great American country singer Johnny Cash, played by Joaquin Phoenix. The movie tells us the story of his life before he became popular, his success and the tumultuous love story with June Carter, played by Reese Whiterspoon, who won an Academy Award as Best Actress for this role. The soundtrack includes I Walk the Line, Cry Cry Cry, It Ain’t me Babe – all wonderfully performed by the actors.

Ray (2004). A magnificent portrait of the American singer and pianist Ray Charles, played by Jamie Foxx who won for this performance an Academy Award as Best Actor. Sadly Ray Charles could not enjoy the movie about his life, in fact Ray was released in september 2004, only four months after the artist passed away. An inspiring and exciting story, it teaches us that with enough talent and passion you can overcome anything. Directed by Taylor Hackford.

Tommy (1975). This 1975 movie, directed by Ken Russel, celebrates what is considered to be the first rock opera of history, The Who‘s album Tommy, released in 1969. The film is considered to be a little anthology of the English film between the forties and the seventies and the cast features some great names of the history of music and film: Jack Nicholson, Elton John, Tina Turner, Eric Clapton, Robert Powell and obviously The Who. The movie is about Tommy’s difficult life, which inspired the famous English rockband to create this record.

Have you seen this movie? Did you like them? Which are your favorite?

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SLQS consiglia: dischi italiani da ascoltare in quarantena

Come promesso, oggi Smells Like Queen Spirit Mag vi parla dei dischi italiani che ci stanno tenendo compagnia in queste settimane di isolamento. Nel riflettere su come impostare questo articolo ci siamo sinceramente emozionate: abbiamo infatti realizzato che i dischi che tendiamo a riascoltare in questi giorni sono in molti casi quelli che costituiscono la colonna sonora della nostra parte di vita trascorsa in Italia. Ci emozioniamo perché due di noi (Marika e Patrizia) si trovano all’estero e non riusciranno a rientrare finché l’emergenza non sarà finita, evento che ora come ora è impossibile da prevedere.

La musica in questi giorni diventa quindi molto più che una compagnia. E’ un modo per sentirci più vicine al nostro paese nell’attesa di rivederlo. Ecco i dischi che riescono a compiere questa magia!

Amalia

  • Pooh, The Best of Pooh (1997) perché ‘era il disco che ascoltavo in auto quando mia madre mi portava a scuola, è un ricordo felice e spero che trasmetta felicità anche a chi ora è chiuso in casa’;
  • Riccardo Cocciante, Notre-Dame de Paris (1998) perché ‘cantarne a squarciagola i pezzi libererà tutte le vostre endorfine’;
  • Petra Magoni e Ferruccio Spinetti, Musica Nuda (2004) perché ‘è grande musica rivisitata da due grandi musicisti’;
  • Finley, Tutto è possibile (2006) perché ‘è uno dei dischi dell’adolescenza e in questi tempi di disagi fa bene pensare a quando il disagio eravamo noi’;
  • Negrita, HELLdorado (2008) perché ‘per me è il disco dell’estate per eccellenza, quello onnipresente in macchina che mi trasmette una sensazione di pace, e mi fa pensare alle strade battute sotto il sole del Salento, piene di campi gialli e l’odore di salsedine nell’aria’.

Marika

  • Ligabue, Buon compleanno Elvis (1995), perché ‘mi trasmette lo stesso calore di quando lo ascoltavo da bambina semi-addormentata sul sedile posteriore della macchina, mentre ascoltavo i miei genitori chiacchierare’;
  • Negrita, Ehii!Negrita (2003) perché ‘ascoltando questa raccolta mi ritrovo in macchina sulla strada per il mare, con un braccio fuori dal finestrino a giocare con il vento’;
  • Antonello Venditti, TuttoVenditti (2012) perché ‘sa di domenica mattina a casa dei miei, di ragù e giochi stupidi con i miei fratelli’;
  • Niccolò Fabi, Una somma di piccole cose (2016) perché ‘quando lo ascolto mi sembra di essere con Niccolò nella casa di campagna dove l’ha inciso – ma se non ho dei fazzoletti a portata di mano devo necessariamente saltare Facciamo Finta‘.
  • Subsonica, 8 (2018) perché ‘mi fa viaggiare anche se non si può: l’ho ascoltato per la prima volta mentre attraversavo il deserto del Rajasthan (India) e mi riporta a quel periodo incredibile’.

Patrizia

  • Pino Daniele, Nero a metà (1980) perché ‘mi ricorda l’infanzia a casa di Zia Rosa, grande fan di Pino, che alle mie richieste di mettere i Backstreet Boys rispondeva che un giorno avrei capito e avrei amato Pino…e così è stato’;
  • Litfiba, 17 Re (1986), perché ‘i Litfiba sono un pezzo di vita e questo album racchiude al meglio la loro essenza – in particolare Re del Silenzio mi ricorda le mie trasferte con la Lupo Rossa e il finestrino abbassato’.
  • Africa Unite, Vibra (2000) perché ‘ho vissuto una relazione a distanza e il mio lui mi dedicava le canzoni di questo disco. Ora che viviamo insieme, lo mettiamo come sottofondo quando cuciniamo’;
  • Alessandro Mannarino, Bar della Rabbia (2009) perché ‘mi ricorda me, scalza e traballante nei prati del campus dopo le feste e un concerto di fine estate durante il quale ho cantato fino a perdere la voce’
  • Ministri, Per un passato migliore (2013) perché ‘la notte che lo ascoltai, consigliato da un’amica, non riuscii più a dormire. Testi splendidi che raccontano la mia seconda adolescenza’;

E tu, conosci questi dischi? Cosa stai ascoltando in queste settimane per viaggiare con la mente?

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SLQS consiglia: dischi stranieri da ascoltare in quarantena

Si sa, sono tempi duri per tutti noi. Preoccupazione, giornate che non sembrano finire mai, impossibilità nello stabilire quando tutto questo sarà finito e tanta incertezza su quello che ci aspetta dopo. Noi ragazze di Smells Like Queen Spirit Mag stiamo facendo del nostro meglio per impiegare almeno un po’ del nostro tempo libero in maniera costruttiva e per rimanere positive.
Uno dei vantaggi dello stare in casa è senza dubbio avere più tempo per scoprire nuova musica e per riascoltare i nostri album preferiti. Ognuna di noi ne ha selezionati cinque tra quelli che abbiamo riascoltato in questi giorni.


Amalia

  • Ella Fitzgerald & Louis Armstrong, Ella and Louis (1956)
  • Led Zeppelin, Led Zeppelin IV (1971)
  • Damien Rice, O (2002)
  • Paolo Nutini, Sunny Side up (2009)
  • Kings of Leon, Come Around Sundown (2010)

Marika

  • Elton John, Elton John (1970)
  • Dire Straits, Making Movies (1980)
  • Amy Winehouse, Frank (2003)
  • Placebo, Covers (2003)
  • Lenny Kravitz, Baptism (2004)

Patrizia

  • The Beatles, White Album (1968)
  • The Rolling Stones, Black and Blue (1976)
  • Peter Frampton, Frampton Comes Alive! (1976)
  • Clash, London Calling (1979)
  • Nirvana, Nevermind (1991)

La prossima settimana vedremo invece i dischi italiani da ascoltare in quarantena. Godetevi la musica, ma soprattutto state a casa!

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SLQS suggests: records to listen to while you’re quarantining

We all know, we are going through some good hard times. Concern, days that seem never-ending, the fact that no one knows when this is going to end and a lot of uncertainty about what will happen after it will be over. We, the girls of Smells Like Queen Spirit Mag, are doing our best to use at least a bit of our free time in a constructive way and to stay positive.
One of the advantages of staying home is undeniably the fact that we have more time to discover new music and to listen to our favorite records. Each of us has selected five, among the ones we have been listening to these days.


Amalia

  • Ella Fitzgerald & Louis Armstrong, Ella and Louis (1956)
  • Led Zeppelin, Led Zeppelin IV (1971)
  • Damien Rice, O (2002)
  • Paolo Nutini, Sunny Side up (2009)
  • Kings of Leon, Come Around Sundown (2010)

Marika

  • Elton John, Elton John (1970)
  • Dire Straits, Making Movies (1980)
  • Amy Winehouse, Frank (2003)
  • Placebo, Covers (2003)
  • Lenny Kravitz, Baptism (2004)

Patrizia

  • The Beatles, White Album (1968)
  • The Rolling Stones, Black and Blue (1976)
  • Peter Frampton, Frampton Comes Alive! (1976)
  • Clash, London Calling (1979)
  • Nirvana, Nevermind (1991)

Enjoy music and, above all, stay home!

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Recuperiamo gli Squallor, poeti osceni e contrabbandieri di buon umore

A me piace l’oscenità; mi annoia invece la volgarità, che è cattivo gusto e basta. (…) L’osceno è il sublime. Moana Pozzi

Milano, 1969. Quattro amici e discografici della CGD Records (etichetta musicale milanese, diventata poi Sugar) una domenica pomeriggio rimangono folgorati da un film che si chiama Il mio amico il diavolo (1967). In una scena del film, l’attore si esibisce cantando -ma senza cantare- su una ipnotica base musicale. Quella combinazione di voce parlata e musica farà scoccare la scintilla che darà vita al progetto Squallor. I quattro amici sono Giancarlo Bigazzi, Alfredo Cerruti, Daniele Pace e Totò Savio. Il loro lavoro è quello di comporre musica e parole per tantissimi artisti, tra i quali ci sono Massimo Ranieri, Mina, Umberto Tozzi, Gianni e Marcella Bella, Caterina Caselli e Loredana Bertè. Insomma, di giorno, una vera scuderia di fuoriclasse bazzica per gli uffici della CGD. Ma i quattro amici vi rimangono anche di sera e spesso si attardano lì anche dopo mezzanotte. Bevono, fumano, chiacchierano. Accendono i microfoni e improvvisano canzoni, senza mai registrarle. Parlano a ruota libera, usano parolacce e volgarità e scimmiottano il pop e la canzone d’autore che essi stessi producono. Un giorno però parte il registratore e si accorgono che quelle esternazioni improvvisate hanno la potenzialità di un disco. Nasce il primo LP Troia a cui ne seguiranno altri 13 fino al 1994, e tutti con titoli espliciti e copertine bizzarre, che alludono al sesso.

Il successo è immenso. Quei dischi vengono venduti alla velocità della luce. Gli Squallor piacciono, ma nessuno sa chi siano veramente, e quell’alone di mistero li rende ancora più accattivanti. In un’ Italia bacchettona che vota la DC è davvero sorprendente il successo dei quattro moschettieri delle “maleparole”. Di giorno gli Squallor sono professionisti integerrimi, di notte calano la maschera e dicono quello che pensano. Tra scherzi telefonici, denunce e rutti gli Squallor sono inarrestabili. La trivialità dei testi e il nonsense sono le basi per feroci attacchi al potere religioso, politico e economico, mentre le melodie, composte da Totò Savio, sono delle vere perle di musica d’autore.

Hanno addirittura varcato i confini dell’Italia con un successo diventato fenomeno europeo, grazie alla cantante belga Ann Christy. In Lussemburgo, Germania, Olanda, Francia e Belgio nel 1974 tutti cantano Bla Bla Bla ma non tutti sanno che a scriverla sono stati gli Squallor, come evidente parodia delle canzoni sentimentali francesi.

E’ difficile spiegare e spiegarsi il successo degli Squallor in una dimensione musicale in cui non esistevano ancora i social network e i reality. La televisione era perennemente al vaglio della censura e del buoncostume -era addirittura vietato pronunciare la parola divorzio!- e le radio non avrebbero mai trasmesso quei testi così sfacciatamente osceni. E nonostante tutto, ci sono riusciti e hanno avuto un grande successo. Sono stati i DJ, che hanno chiuso le loro serate con gli Squallor. Sono state tutte le denunce delle grandi aziende, a fare da promozione agli Squallor. Sono state le musicassette nascoste e vendute in autogrill a fungere da passaparola, nelle macchine degli italiani che le cantavano a memoria -rigorosamente in assenza delle mogli!- Sono stati quei ragazzini di 10 anni, che non capivano quei doppi sensi, ma riuscivano a percepire la filosofia di vita dei quattro contrabbandieri del buon umore pur nell’evidente oscenità di quelle maleparole proibite.

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‘Father of All…’. Il nuovo album dei Green Day ci riporta nel 2004

Uscito lo scorso 7 febbraio, Father of All Motherf*****s (anche conosciuto con il titolo censurato Father of All…) è il tredicesimo album in studio dei Green Day, definito ‘very high energy’ dal frontman della band Billie Joe Armstrong in un’intervista rilasciata a Billboard.

La copertina dell’album ritrae una mano che stringe una granata: è la stessa immagine della copertina di American Idiot, lo straordinario disco del 2004 che ebbe un effetto devastante sulla ragazzina che ero all’epoca – riuscendo infatti a influenzare gran parte dei gusti musicali e delle idee sulla musica che ho ancora oggi. Cosa avrà Father of All… a che fare con American Idiot? E’ possibile che il nuovo disco riprenda a raccontarci la storia che si è interrotta con la nona traccia di American Idiot? C’è speranza di rincontrare St. Jimmy, Whatsername e il Gesù dei sobborghi?

In Father of All… non incontriamo nessun volto familiare ma è chiaro che con certe linee di basso, certe atmosfere e certe tematiche i Green Day abbiano cercato disperatamente di riportarci al lontano 2004 (e in alcuni casi anche agli anni precedenti). Ma vediamo i brani nel dettaglio.

La prima traccia Father of All… è il singolo che nel settembre 2019 ha anticipato l’album. Un pezzo punk in your face cantato in falsetto che ti fa venire voglia di alzarti dalla sedia (è uno dei miei pezzi preferiti quando ho il leg day in palestra). La traccia numero due Fire, Ready, Aim è stata utilizzata per l’apertura della National Hockey League. La frase ‘Ready, Aim, Fire’ è usata come indicazione per i soldati su come usare le armi da fuoco ma il problema, scrivono i Green Day nella descrizione del videoclip della canzone su Youtube, è che nella società di oggi si attacca senza prima pensare. Il tema della critica alla società americana che era iniziato in Warning e che era diventato il fulcro di American Idiot si insinua quindi anche in questo album.

La terza canzone, Oh Yeah! prende titolo e ritornello da Do you wanna touch me? (Oh yeah) di Gary Glitters. Stavolta la critica è rivolta alla società tenuta in pugno dai social media (Everybody is a star\ Got my money and I’m feeling kinda low) e dai problemi legati al sistema scolastico e alla detenzione di armi (I’m just a face in the crowd of spectators\ To the sound of the voice of a traitor \ Dirty looks and I’m looking for a payback\ Burning books in a bulletproof backpack). L’atmosfera si fa più leggera e allegra in Meet me on the roof, brano in cui Billie Joe ritorna adolescente sfigato che ha paura di fare la prima mossa con la ragazza che gli piace. Anche nella traccia successiva, I was a teenage teenager, Billie Joe canta dei sentimenti di odio e inadeguatezza della propria adolescenza (I was a teenage teenager full of piss and vinegar \ Living like a prisoner for haters\ I was a teenage teenager, I am an alien visitor \ My life’s a mess and school is just for suckers), sentimenti che erano stati al centro di album come Dookie e Nimrod.

La settima traccia, Stab you in the heart, è una vera sorpresa ma non ho ancora ben chiaro se è bella o brutta. Si tratta di un pezzo incazzato e rockabilly in cui i Green Day giocano a fare i Beatles e vi assicuro che non riesco a descriverla meglio (ascoltare per credere). Il nono brano, Sugar Youth, ricorda terribilmente il brano She’s a rebel di American Idiot e somiglia vagamente anche a Letterbomb. Ancora una volta Billie Joe si trasforma nell’adolescente senza speranze dei primi album (Like a high school loser \That will never ever, ever, ever fuck the prom queen). Arriviamo finalmente a Junkies on a High, la mia preferita di tutto l’album. E’ un brano dark sul tema della distruzione di sè, un brano che ti rimane nella testa e che francamente c’entra poco con il resto dell’album. La linea di basso è quasi identica a quella di Boulevard of Broken Dreams. La traccia numero undici è Take my money and crawl, un brano innegabilmente catchy e in puro stile Green Day ma che non mi dice molto. Chiude Graffitia, la canzone più impegnata dell’album e più spiccatamente politica sulla situazione di declino nelle città della Rust Belt dovuto alla chiusura delle fabbriche, la questione razziale e la violenza che ne deriva.

Cosa penso di Father of All…? L’energia c’è, ma è un album che corre troppo, arraffa, comprime. Sembra voler dire molto, ma di fatto dice poco. Sembra provare a dirci qualcosa di nuovo, ma quello che sentiamo in fondo lo sappiamo già. E’ un album breve fatto di cose già viste, troppo lontano dal monumentale American Idiot, del quale non può per altro assolutamente essere considerato l’erede o il sequel.

E’ chiaro che la band abbia tentato di racchiudere in questi 26 minuti tutto quello che i Green Day sono stati in American Idiot e prima, ma finisce per mettere insieme una serie di cliché spesso mal amalgamati tra loro, uniti a qualche tentativo di innovazione non perfettamente riuscito. Resta comunque un album piacevole da ascoltare, in cui la band rimane riconoscibile per noi fan che li abbiamo ascoltati e amati a cavallo tra il nuovo e il vecchio millennio.

E voi l’avete ascoltato?

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‘Father of All…’. The new Green Day album takes us back to 2004

Released on February 7th, Father of All Motherf*****s (also known as Father of All…) is Green Day’s thirteenth studio album, described as ‘very high energy’ by frontman Billie Joe Armstrong during an interview with Billboard.

On the cover there’s a hand holding a grenade: it’s the same image that appears on the cover of American Idiot, the extraordinary 2004 record that had a huge impact on the little girl I was at that time – influencing a big part of my taste and my ideas about music. What does Father of All… have to do with American Idiot? Is it possible that this new record someway resumes the story that got interrupted in the ninth track of American Idiot? Can we hope to meet St. Jimmy, Whatsername and Jesus of Suburbia once again?

We meet no familiar faces in Father of All… but it is clear that Green Day has tried to bring us back to 2004 (and in some cases even back to the previous years) by choosing certain bass lines, certain atmospheres and certain themes.
Let’s have a close look at the tracks.

The first track, named Father of All, is the single, released in september 2019, that anticipated the album. It’s a falsetto sung punk song in your face that makes you want to stand up (it’s my personal favourite when I have leg day at the gym). Track number two, Fire, Ready, Aim, has been used for the opening of the National Hockey League. The phrase ‘Ready, aim, fire’ is an instruction given to soldiers on how to use their weapons but the problem, writes Green Day in the video description on youtube, is that today’s society attacks without even thinking. The tale of criticism towards the American society that had started in Warning and that had been at the core of American Idiot is also present in this album.

The third song, Oh Yeah! samples the refrain from Gary Glitters’ Do you wanna touch me? (Oh yeah). The band criticizes the part of society that’s obsessed with social media (Everybody is a star\ Got my money and I’m feeling kinda low) and adresses the problems of the American school system and the consequences of gun detention (I’m just a face in the crowd of spectators\ To the sound of the voice of a traitor \ Dirty looks and I’m looking for a payback\ Burning books in a bulletproof backpack). The atmosphere gets lighter and happier in Meet me on the roof, a song in which Billie Joe gets back to the times when he was a teenage loser and felt anxious about asking the girl out. Also in the following track, I was a teenage teenager, Billie Joe sings about the feelings of hate and inadequacy of his own adolescence (I was a teenage teenager full of piss and vinegar \ Living like a prisoner for haters\ I was a teenage teenager, I am an alien visitor \ My life’s a mess and school is just for suckers), feelings that had been at the core of albums like Dookie and Nimrod.

The seventh track, Stab you in the Heart, is a true surprise, even though I still don’t know if it’s a good or a bad one. It’s an angry, rockabilly song in which Green Day pretend to be The Beatles – and I swear I could not describe it in a better way (listen and you’ll know). The ninth song, Sugar Youth, reminds me a lot of She’s a Rebel from American Idiot but it also sounds a lot like Letterbomb. Once again Billie Joe turns into the hopeless teenage boy of the first albums (Like a high school loser \That will never ever, ever, ever fuck the prom queen). We finally get to Junkies on a High, my favourite song of the entire album. It’s a dark song about self destruction, a song that gets stuck in your head and which, honestly, has nothing to do with the rest of the album. The bass line is almost identical to the one of Boulevard of Broken Dreams. Track number eleven is Take my money and crawl, an undeniably catchy and oh-so-Green-Day song that doesn’t add much to the album. The last song is Graffitia, the most political one of the album, about the situation of decline in the cities of the Rust Belt due the closing of the factories, but it also addresses the racial questions and the violence that derives from them.

What do I think about Father of All…? There is a lot of energy, but it’s an album that runs to much, sneaks and compresses. It sounds like it is trying to say a lot, but it ends up saying too little. It sounds like it is trying to say something new, but all we hear is something we already know. It’s a short album made of things we’ve already seen, too far from the monumental American Idiot of which it cannot be considered a sequel or a heir.

It is clear that the band has tried to enclose in these 26 minutes all that Green Day has been in American Idiot and before, but they end up putting together a series of cliches – often not mixed well at all – together with a couple of innovative attempts that haven’t really worked. Despite all of this, Father of All… is a nice record in which the band is still recognizable for us fans that have been loving them and listening to them between the old and the new millennium.

And you? Have you listened to it?

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I 5+1 documentari Netflix che dovresti assolutamente guardare (+English Version below)

Dal catalogo di Netflix abbiamo selezionato alcuni documentari che vale la pena guardare, per conoscere meglio alcuni tra gli artisti che, con la loro musica, hanno ispirato e continuano a ispirare

What Happened, Miss Simone? (2015) – La storia della tormentata Nina Simone, pianista, cantante ma soprattutto femminista e attivista per i diritti civili negli Stati Uniti. Attraverso le interviste con la figlia e gli amici di Nina, questo documentario mette in evidenza le luci e le ombre di una donna che non si è mai data per vinta, lottando strenuamente contro le ingiustizie e la segregazione razziale. Anche a costo di rimanere completamente sola.

How the Beatles Changed the World (2017) – Tom O’Dell ripercorre la storia dei Beatles, dalle origini fino allo scioglimento della band. Appena inizierete a guardarlo, non smetterete più di cantare. Un affascinante viaggio attraverso interviste e filmati di archivio che mostrano come i Beatles hanno rivoluzionato la musica e i costumi dagli anni 60 in poi.

27: Gone Too Soon (2018) Chi non ha mai sentito parlare del “Club 27” deve assolutamente guardare questo film, dedicato a sei grandi stelle della musica: Brian Jones, Jimi Hendrix, Janis Joplin, Jim Morrison, Kurt Cobain e Amy Winehouse, tutti scomparsi a 27 anni a causa dell’abuso di alcol e droghe. E a proposito di Janis Joplin, vi segnaliamo anche il documentario sulla sua vita: Janis, Little Girl Blue (2015) ripercorre l’infanzia e l’adolescenza della ragazza di Port Arthur. Attraverso rare interviste e materiale d’archivio vengono alla luce la fragilità e la forza di quella che è stata sicuramente la prima donna rocker della storia della musica mondiale. Imperdibile.

Gaga: Five Foot Two (2017) – Se siete tra coloro che hanno bisogno di ispirazione continua, questo è quello che fa per voi. Lady Gaga svela se stessa attraverso un racconto intimo, tra problemi fisici ed emotivi e impegni musicali, come la preparazione dello show di intervallo del Super Bowl.

Whitney: Can I Be me (2016) – Cosa sarebbe stata la musica pop senza la voce di Whitney Houston? Il regista Nick Broomfield ripercorre la vita dell’ amatissima stella del pop attraverso il racconto di amici, parenti e della stessa Whitney: dagli esordi nel coro gospel parrocchiale alla battaglia contro la dipendenza, fino alla sua sconcertante morte, avvenuta nel 2012.

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The 5+1 Netflix documentaries that you should watch

What Happened, Miss Simone? (2015) – Nina Simone’s story: pianist, singer but, above all, feminist and civil rights activist in the United States. Through interviews with Nina’s daughter and her friends, this documentary shows the lights and the shadows of a woman who has never given up, fighting against injustice and racial segregation. Even at the cost of being completely alone.

How the Beatles Changed the World (2017) – Tom O’Dell traces the Beatles’ story, from the origins to the end. As soon as you start watching, you immediately start singing. A fascinating journey through interviews and archive footage that shows how the Beatles changed music and customs from the 60s onwards.

27: Gone Too Soon (2018) If you’re somebody who has never heard of “Club 27” you should watch this movie about six great music stars: Brian Jones, Jimi Hendrix, Janis Joplin, Jim Morrison, Kurt Cobain e Amy Winehouse, all of whom disappeared at age 27 due to alcohol and drug abuse. And speaking about Janis Joplin, we also point out the documentary about her life: Janis, Little Girl Blue (2015) traces the childhood and the adolescence of the girl from Port Arthur. Through rare interviews and archival material we can perceive the fragility and the strength of a woman who has certainly been the first female rocker in the world. Unmissable!

Gaga: Five Foot Two (2017) – If you are among those who need continuous inspirations, this movie is for you. Lady Gaga reveals herself through an intimate story, among physical and emotional problems and musical commitments, such as the preparation of the Super Bowl interval show.

Whitney: Can I Be me (2016) – What would Pop Music have been, without Whithney’s voice? The director Nick Broomfield traces the life of the beloved Popstar, through the stories of friends, relatives and Whitney herself: from the beginning in the Gospel Choir to the battle against drugs abuse, until her death, in 2012.

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